Rocchelli e Mironov: non esiste “un posto sbagliato” per i giornalisti

Riprendiamo l’articolo di Yurii Colombo apparso a inizio gennaio 2021 sul suo sito di notizie matrioska.info per introdurre su OGzero la storia del fotografo Andrea Rocchelli e dell’attivista per i diritti umani Andrey Mironov che gli faceva da traduttore, della loro uccisione in Ucraina nel 2014 mentre svolgevano il loro lavoro di giornalisti e del processo che ne è seguito. A gennaio è stata emessa la sentenza a carico di Vitaly Markyv che, come leggerete in seguito, è stato liberato e ha lasciato l’Italia.

A questo articolo aggiungiamo un commento di Oxana Chelysheva, giornalista e attivista per i diritti umani, apparso il 3 febbraio 2021 sul sito della ong Finnish Peace Committee in occasione della pubblicazione del testo integrale della sentenza della Corte d’Appello di Milano.

Continueremo a seguire questa vicenda, con articoli, videointerviste e analisi che porteremo all’attenzione dei lettori per far luce su una pagina cupa – e poco chiara – della giustizia italiana, dei rapporti tra gli stati coinvolti e della proliferazione delle destre nazionaliste.


Yurii Colombo: Caso Rocchelli, ingiustizia è fatta

Ingiustizia è fatta. Ieri il Tribunale di Milano ha assolto Vitaly Markyv – un neofascista già membro della Guardia Nazionale ucraina – «perché il fatto non sussiste», ribaltando il verdetto del tribunale di Pavia che in primo grado lo aveva condannato a 24 anni per omicidio volontario del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e dell’attivista russo dei diritti civili Andrey Mironov. Il collegio di giudici togati e popolari presieduto da Giovanna Ichino ha anche ordinato l’immediata liberazione dell’imputato detenuto permettendo così che Markyv potesse abbandonare immediatamente l’Italia e potesse eventualmente diventare uccel di bosco in caso il ricorso in Cassazione conducesse alla sua definitiva condanna. L’avventuriero infatti con perfetto timing subito dopo la sentenza è stato preso in consegna dal ministro degli Interni ucraino Arsen Avakov, noto per i suoi stretti rapporti con gruppi neonazisti come il Battaglione Azov e Pravy Sektor, che lo ha fatto decollare con un aereo di stato per Kiev. Qui all’aeroporto, dopo essere stato accolto con picchetto d’onore e inno nazionale come se si trattasse di un eroe, Markyv è stato portato a colloquiare con il presidente Volodomyr Zelensky. «Vedremo le motivazioni della sentenza e il da farsi, continuiamo a ritenere corretta la ricostruzione del Tribunale di Pavia e della Procura generale di Milano, a loro e a nostri avvocati va la nostra riconoscenza», ha dichiarato affranta la madre di Rocchelli, mentre gli attivisti della Rete antifascista di Pavia hanno tenuto un presidio di protesta.

Manifestazioni in onore di Markyv in Ucraina, dove è considerato un eroe nazionale

Alla liberazione di Markyv si è giunti dopo una fortissima pressione diplomatica da parte del governo di Kiev spalleggiato dai radicali ma anche da settori del Partito democratico che sembrano aver fatto della russofobia uno dei motivi della propria esistenza politica.

Facendosi beffa del protocollo, Zelensky nel suo incontro a Roma con Giuseppe Conte dello scorso 7 febbraio [2020, N. d. R.] aveva sollevato il “caso Markyv”, giungendo persino a dichiarare in conferenza stampa di comprendere che «il primo ministro italiano non possa influenzare i tribunali in Italia. Ma ho mostrato in dettaglio cosa è successo lì, quanto era lontano dal luogo dell’omicidio. E che dobbiamo riprenderci il ragazzo». Veniva coinvolto anche il Vaticano: in una telefonata del 5 giugno di quest’anno Zelensky chiedeva intercessione a Papa Francesco per «risolvere il caso». Una fitta trama di contatti per giungere all’obiettivo di «liberare il soldato Markyv» che trovava suggello nello spostamento della sede del processo di appello da Pavia a Milano.

Ma se Andy, come veniva chiamato dagli amici Rocchelli, forse non potrà più avere giustizia su questa terra dove troppo spesso la ragione di stato prevale sul diritto, questo non vuole dire che la verità non potrà continuare a farsi largo.

Le foto che incriminano

Andrea aveva quel fuoco dentro che lo aveva già spinto in Africa e in Asia Centrale, a raccontare la storia in diretta, attraverso la propria sensibilità e il proprio teleobiettivo. Per questo si era avventurato in Ucraina a inizio maggio 2014, nella zona di Donetsk, per raccontare l’insurrezione della locale popolazione filorussa seguita all’insurrezione di massa reazionaria della Maidan del febbraio precedente.

Maidan: manifestazioni a Kiev in piazza dell’Indipendenza (foto panaramka.ukr.net)

Il 24 maggio del 2014, Andrea Rocchelli e l’attivista dei diritti umani Andrey Mironov che gli faceva da traduttore, furono uccisi nei pressi di Slovyansk a causa di colpi di mortaio sparati contro l’auto su cui viaggiavano. Un altro fotoreporter, il francese William Rougelon, se la cavò con alcune ferite.

Caso Rocchelli: la sentenza

Da sinistra Andrea Rocchelli e Andrey Mironov, morti nell’attacco, e William Roguelon, sopravvissuto, la cui testimonianza al processo è stata fondamentale.

L’inchiesta della procura ucraina fu sbrigativa e si concluse ben presto con un nulla di fatto. I magistrati ucraini, cinicamente, parlarono di morte sopraggiunta per “effetti collaterali della guerra”. La stessa inchiesta italiana si arenò ben presto. Tuttavia grazie alla straordinaria tenacia dei genitori di Rocchelli, Elisa e Rino, e della loro avvocatessa Alessandra Ballerini (già avvocato dei familiari di Giulio Regeni) nel 2017 l’inchiesta fu riaperta. La svolta furono le immagini ritrovate nella macchina fotografica di Andrea, quelle di archivio della TV russa RT News.

Si poté così ricostruire nel dettaglio gli avvenimenti: Rocchelli e Mironov furono uccisi deliberatamente perché il fotoreporter stava fotografando un treno custodito dalla truppe regolari ucraine. A questo punto le indagini si spostano in Italia dove a Bologna venne arrestato Markyv accusato di essere stato colui che aveva materialmente colpito l’auto di Rocchelli.

Ripercorre i passi di Andy e Andrey

Oxana Chelysheva, attivista dei diritti civili di origine russa e amica di Anna Politkovskaya, malgrado sia una oppositrice del governo di Putin, partecipò e testimoniò al processo Rocchelli, convinta che la verità non debba avere nazione o ideologia. «L’intera costruzione dell’accusa, almeno per le udienze a cui partecipai fu più che convincente e supportata da evidenze. La posizione della difesa fu al contrario molto debole: durante l’arringa continuò a sostenere per tutto il tempo che Markyv era solo un povero soldato, che non avrebbe mai potuto uccidere un giornalista, che non c’era artiglieria sul luogo degli eventi.

Ma venne soprattutto in modo evidente a galla nel processo che i colpi erano stati sparati da reparti dell’esercito ucraino», sostiene Oxana. Alla quale però tuttavia ora preme ricordare soprattutto il grande cuore di Rocchelli: «Quando mi recai anni dopo al paesino di Slovyansk dove Andy e Andrey erano stati uccisi, la signora che li ospitò negli ultimi giorni prima della tragedia mi disse: “Rocchelli e Mironov ci confortavano mentre subivamo l’assedio: “Non vi lasceremo soli, vi salveremo”. Non erano solo lì per le foto, ma anche per cercare di salvare dei civili inermi». E forse proprio per questo vennero uccisi senza pietà.


Oxana Chelysheva: la Corte d’Appello di Milano, l’unica colpevole è l’Ucraina

Il 21 gennaio il Tribunale di Milano ha emesso il testo integrale della sentenza che ha permesso il rilascio di Vitaly Markyv il 3 novembre 2020. Il documento dimostra che il pubblico ministero di Pavia e il Tribunale di primo grado non aveva sbagliato nel 2019 a identificare l’Ucraina, le sue Forze armate e i battaglioni volontari [milizie paramilitari di difesa territoriale, N. d. R.] che combattevano  nel villaggio di  Slovyansk gli unici responsabili della morte di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov. La Corte d’Appello ha stabilito che «l’attacco a Rocchelli, Mironov e Roguelon come dimostra il ricorso, è scattato senza alcuna provocazione da parte delle vittime o dei militanti presenti» (p. 64 della Sentenza 31/2020 della Corte d’’Assise d’Appello di Milano).

Vitaly Markyv, con cittadinanza sia ucraina sia italiana, era a maggio 2014 il comandante in capo di uno dei battaglioni volontari della Guardia nazionale ucraina. Nell’estate 2017 fu arrestato al suo arrivo in Italia perché sospettato di aver preso parte al duplice omicidio di Andrea Rocchelli, fotografo italiano, e Andrey Mironov, dissidente russo e attivista per i diritti umani, e al ferimento di William Roguelon, fotografo francese, e di Yevheni Koshman, l’autista locale. Markyv era stato dapprima condannato dal Tribunale di Pavia a 24 anni di prigione nel luglio 2019.

Verdetto confermato, ma c’è un vizio di forma

Il testo integrale della sentenza del 3 novembre 2020 enuncia fattori decisivi per le conclusioni finali della Corte d’Appello nel caso dell’omicidio di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov a Slovyansk il 24 maggio 2014.

Il verdetto di colpevolezza del primo grado di giudizio emanato dal Tribunale di Pavia è pienamente confermato dalla Corte d’Appello. Il rilascio di Markyv è stato possibile solamente a causa di un vizio di forma che ha annullato un’udienza di importanza cruciale e le relative prove emerse quando gli ufficiali ucraini furono interrogati a Pavia.

Il 17 maggio 2019 cinque ufficiali ucraini furono condotti a testimoniare in tribunale; si trattava di una delle udienze più importanti perché vi si dovevano definire con precisione le posizioni dell’esercito ucraino sulla collina di Karachun.

Ucraina, febbraio 2014 (foto mahoks)

Le testimonianze annullate

La Corte d’Appello giudicò che le testimonianze fornite da Bohdan Matkivskyi (comandante del secondo plotone, diretto superiore di Markyv), da Andrej Antonyshack (coordinatore del primo battaglione di riserva, sovraordinato a Matkivskyi e a Roman Gut, comandante della seconda compagnia, da cui Markyv prendeva ordini), da Oleksadr Venduk (comandante del primo plotone, che dichiarò – siccome esistevano due comandanti per tre plotoni – che le decisioni erano condivise con Matkivskyi e che Markyv ubbidiva a entrambi), da Balan Mykola (comandante della Guardia Nazionale il 7 maggio 2014), così come quella rilasciata da Kuzyk Vasyl (soldato della Guardia Nazionale nella stessa posizione di Markyv), da Levko Ruslan (che dichiarò di essersi trovato nella stessa posizione di Markyv, sebbene con alcuni spostamenti), da Sarahman Igor (soldato, che affermò di essere stato almeno vicino a Markyv, se non proprio nella sua stessa collocazione), da Rikbtik Konstanty (che disse di aver fatto gli stessi spostamenti operativi di Markyv nel mese di maggio) fossero inammissibili.

La motivazione fu che le testimonianze erano state rilasciate «nell’ottica della complicità del crimine commesso, mentre avrebbero dovuto essere esaminate durante il processo solo ex art. 210 del Codice di Procedura penale alla presenza di un avvocato, dopo aver avvisato che le dichiarazioni avrebbero potuto essere usate contro di loro in successive fasi di giudizio e che avevano il diritto di rimanere in silenzio».

Testimoni e non sospetti

La Corte d’Appello stabilì che quei militari dell’Esercito ucraino avrebbero dovuto essere interrogati come sospetti e non come testimoni. Quindi furono tutti affiancati da avvocati e poiché questa prerogativa non era stata rispettata le rispettive testimonianze, incluse quelle sul ruolo di Markyv il giorno in cui i giornalisti furono uccisi, furono stralciate.

La Corte d’Appello riconferma totalmente le dinamiche e la sequenza dei fatti e le responsabilità per il doppio omicidio come ricostruito dalla Procura di Pavia (p. 63 della Sentenza 31/2020 della Corte d’Assise d’Appello di Milano).

La testimonianza del fotografo francese William Roguelon è assolutamente affidabile e cruciale per capire come sono andate le cose, così come quelle rilasciate dagli altri giornalisti interrogati in udienza durante il primo grado di giudizio (ibidem, pp. 40, 57, 59).

Le istanze sollevate dalla difesa (ulteriori esami balistici e l’ammissione del film The Wrong Place) sono state rigettate perché considerate non rilevanti per la vicenda (ibidem, pp. 29, 30).

Fu identificato un vizio di forma in una delle udienze in primo grado di giudizio, in particolare nelle deposizioni di Matkivskyi e Antonyshack dell’8 febbraio e in quelle dei soldati che furono sentiti a Pavia il 17 maggio 2019 per testimoniare in favore di Markyv.

Se a quei militari ucraini fossero state lette le formule di rito del diritto al silenzio (non di rimanere in silenzio quando veniva richiesto) e fosse stato detto loro che «ogni dichiarazione avrebbe potuto essere usata contro di loro nei processi futuri», sarebbero emerse prove evidenti del fatto che Markyv aveva eseguito degli ordini. Nonostante questo, il contenuto di quelle testimonianze resta valido, secondo la Corte d’Appello. I commilitoni di Markyv alla fine hanno rafforzato la teoria della Procura riguardo il suo ruolo nella vicenda e la sua posizione sulla collina di Karachun.

Markyv è stato rilasciato per mancanza di prove perché la Procura non ha ottenuto alcuna immagine o registrazione che documentasse il fatto che fosse in azione il 24 maggio 2014 in quel preciso momento e in quel preciso luogo in cui sono stati uccisi i due giornalisti. Comunque, la Corte d’Appello presieduta da Giovanna Ichino ha stabilito che l’Ucraina è l’unica responsabile della morte di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov e che «l’attacco a Rocchelli, Mironov e Roguelon – come dimostra il ricorso – è scattato senza alcuna provocazione da parte delle vittime o dei militanti presenti» (ibidem, p. 64).

Riportiamo qui il testo integrale della sentenza della Corte d’Appello di Milano.

Sentenza completa Appello 21 gennaio 2021 31-20_1-20