Haiti: l’ordine è di uccidere il Presidente
Le circostanze che hanno portato alla morte del presidente haitiano Jovenel Moïse sono misteriose, ma soprattutto coinvolgono moltissime diverse realtà e potenze locali (gli appetiti di famiglie avversarie dell’imprenditore bananiero e le ambizioni delle cariche più eminenti), come di interessi e strategie internazionali, non ultimi gli Usa di Biden, la cui considerazione del cortile di casa non si discosta da quella del suo predecessore, come si evince dalla persistenza delle restrizioni all’embargo contro Cuba volute da Trump. Ci sembrava importante gettare uno sguardo sul mar dei Caraibi in occasione di questo omicidio eccellente, perpetrato utilizzando milizie riconducibili al bacino di paramilitari colombiani addestrati dalle forze più retrive del continente… ci sono abbastanza premesse per rivolgerci a Diego Battistessa che da anni si occupa con disincanto e passione a comprendere gli eventi di quello scacchiere internazionale.
Proprio quando pensavamo che la situazione geopolitica della regione latinoamericana e dei Caraibi avesse ormai già raggiunto il punto di massima frizione, è arrivato il 7 luglio il magnicidio del presidente della Repubblica di Haiti, Jovenel Moïse. Presidente contestato che stava promuovendo un referendum per riformare la Costituzione ed avere la possibilità di rimanere al potere. Questo gli era valso lo scontro aperto con la Corte Suprema di Giustizia del Paese e l’osteggiamento dell’opposizione politica che dava il suo mandato per terminato il 7 febbraio scorso.
Si tratta di un fatto gravissimo che attenta alle fondamenta istituzionali del paese caraibico e che apre degli scenari complessi sia a livello nazionale che a livello regionale. Almeno cinque i paesi coinvolti nell’assassinio del presidente: Haiti ovviamente, ma indirettamente anche Stati Uniti, Colombia, Ecuador e Venezuela.
Ascolta “Haiti. La sulfurea anima noire dell’isola di Santo Domingo” su Spreaker.
Il magnicidio
Nella notte tra 6 e 7 luglio, un commando di 28 persone ha preso d’assalto la residenza del presidente di Haiti Jovenel Moïse nel quartiere Pelerin, a Pourt-au-Prince, la capitale del Paese. Sette uomini armati sono entrati nella casa sparando 16 colpi al presidente e ferendo anche sua moglie (che si è finta morta per sopravvivere all’attacco), mentre gli altri mercenari presidiavano il perimetro. Fin da subito è emerso che gli assalitori tra di loro parlavano spagnolo e questo ha fatto capire che si trattava di stranieri. L’assalto è avvenuto all’una di notte e per il 53enne Moïse non c’è stato scampo. Nello scontro a fuoco successivo tra il commando e le forze dell’ordine haitiane, 3 assalitori sono stati abbattuti e 18 catturati. Si tratta in maggioranza di ex militari colombiani che sarebbero stati assunti e armati da una compagnia statunitense di proprietà di un venezuelano (Antonio Intriago), grazie a fondi provenienti da una compagnia di investimento ecuadoriana (rappresentata da Walter Veintemilla).
I presunti autori intellettuali dell’omicidio
Venerdì 16 luglio il generale della polizia nazionale colombiana, Jorge Luis Vargas Valencia, ha reso noti i risultati delle indagini che indicano uno dei supposti mandanti intellettuali dell’omicidio di Jovenel Moïse. Si tratta di Joseph Felix Badio, un ingegnere vincolato da anni a funzioni pubbliche di rilievo dentro l’apparato statale haitiano. Badio aveva lavorato al Ministerio di Giustizia di Haiti fino al marzo del 2012, momento nel quale venne assegnato all’Unità Anticorruzione (Ulcc) in qualità di coordinatore delle operazioni del Servizio Generale dell’Intelligence. La carriera dell’ingegnere haitiano ha subito però una brusca interruzione proprio all’inizio di questo 2021, precisamente il 17 marzo, quando è stato rimosso dall’incarico per gravi violazioni etiche che includevano anche la corruzione. A oggi Joseph Felix Badio risulta latitante e la polizia colombiana gli imputa i delitti di omicidio, tentato omicidio e possesso illegale di armi.
Badio avrebbe collaborato con colui che è considerato la vera mente del magnicidio, il medico statunitense di 62 anni, Christian Emmanuel Sanon. L’uomo pianificava di diventare il prossimo presidente di Haiti e sarebbe stato lui a contattare l’impresa statunitense di sicurezza privata CTU Security. Sanon è stato arrestato a Haiti nel fine settimana successivo all’omicidio di Moïse e nella casa dove la polizia lo ha trovato, è stata rinvenuta una consistente quantità di armi e munizioni. Il medico statunitense di origine haitiana si dichiara però innocente e afferma di non aver mai saputo della presenza delle armi e delle munizioni nella casa. Sanon, pastore evangelico che si divide tra la Florida e Haiti, è stato coinvolto in un’intensa attività umanitaria in occasione del terremoto del 2010 ed è sempre stato un forte critico della classe politica dirigente dell’isola, da lui tacciata come irresponsabile e corrotta (come dimostra un suo video del 2011). Un’indagine del “The Washington Post” colloca però Sanon al centro di una trama chiamata “Save Haiti” nata in una riunione del 12 maggio scorso a Fort Lauderdale (Florida), che prevedeva come punto finale la sua ascesa a presidente. In quella riunione avrebbero partecipato anche Intriago e Veintimilla dando inizio a una operazione del valore complessivo di 860.000 dollari per coprire contratti, munizioni, armi e viaggi del personale di sicurezza.
Elemento di collante tra gli autori intellettuali, il commando, l’impresa di sicurezza statunitense e la compagnia che ha finanziato la maggior parte dell’operazione, sarebbe stato Dimitri Hérard, ex capo della sicurezza del presidente Moïse e arrestato il 14 luglio dalla polizia haitiana. Hèrard è l’uomo che ha viaggiato negli ultimi mesi tra Ecuador, Colombia, Haiti e Repubblica Domenicana per unire il puzzle che ha portato ai fatti del 7 luglio.
Il commando che ha realizzato il magnicidio
Il commando che ha portato a termine l’omicidio del presidente di Haiti Jovenel Moïse e ha ferito gravemente sua moglie, Martine (che ora sta recuperando in una clinica di Miami), sarebbe stato composto da 28 integranti: 2 haitiani (con nazionalità statunitense) e 26 colombiani. Lo ha rivelato León Charles, direttore della polizia di Haiti, che ha fornito anche i nomi degli assalitori haitiani, James Solages e Joseph Vincent. I due però avrebbero fatto solo da interpreti, convinti che l’operazione si sarebbe limitata al sequestro/arresto di Moïse, mentre i responsabili di campo dell’operazione militare sarebbero due colombiani. Si tratta del sergente ritirato dell’esercito Duberney Capador e del capitano ritirato dell’esercito Germán Rivera. Capador, 40 anni, rimasto ucciso nei momenti successivi all’assalto dalla polizia haitiana mentre Rivera è stato catturato e arrestato. Del commando oltre agli haitiani già identificati e arrestati, la polizia è riuscita ad identificare 21 colombiani (18 arrestati e tre uccisi nello scontro a fuoco) mentre 5 colombiani rimangono latitanti. Capador e Rivera avrebbero riunito gli altri membri colombiani del commando, offrendo loro, secondo quanto emerso finora dalle indagini, un lavoro da bodyguard per Sanon, da 3000 dollari al mese. Il finanziamento per le operazioni e i costi legati al commando, sarebbe arrivato dalla compagnia Worldwide Capital Lending Group, di proprietà dell’ecuadoriano Walter Veintemilla, mentre armi e munizioni sarebbero state fornite dall’impresa di sicurezza privata CTU Security, con sede nel Doral (Miami, Florida) e vincolata al controverso personaggio venezuelano Antonio Intriago. Worlwide Capital Lending Group avrebbe coperto i costi di viaggio da Miami a Haiti di parte dei mercenari, oltre ai costi di mantenimento dei membri del gruppo che già si trovavano in Repubblica Domenicana da maggio scorso. A giugno Badio avrebbe contattato i capi colombiani del gruppo e comunicato loro che l’ordine era quello di arrestare Moïse per salvare il paese dal tracollo politico e dalla violenza. Tre giorni prima dell’operazione però, ancora Badio avrebbe tenuto una conversazione con Capador e Rivera (della quale sarebbe stata informata anche CTU Service di Intriago) cambiando l’ordine di sequestro con quello di assassinio.
#Haitipresident: here are the #Colombian mercenaries that took part in the assassination of the #Haitianpresident. Some of them were arrested by citizens and handed over to the police https://t.co/jl3aYPDEkz pic.twitter.com/lyepE8J2ui
— AFRICIS (@AfricisOrg) July 9, 2021
Gli scenari che si aprono sull’isola
Il 23 luglio si celebreranno i funerali di Jovenel Moïse in un paese sommerso dalla violenza, l’incertezza istituzionale e un vuoto di potere senza precedenti.
In quello che sembra un caos senza fine ora potrebbe succedere davvero di tutto visto che anche Claude Joseph, attuale discusso presidente facente funzioni, è stato accusato di aver partecipato al magnicidio. Lo stesso presidente interino (appoggiato dall’Onu e dagli Usa) ha però minimizzato dichiarando che saranno le indagini a scagionarlo. Joseph era appena stato licenziato da Moïse poco prima del suo assassinio e proprio il 7 luglio avrebbe dovuto giurare come nuovo primo ministro Ariel Henry. La cerimonia è stata ovviamente sospesa e così si è creato un dibattito istituzionale su chi realmente debba assumere la presidenza in qualità di primo ministro legalmente riconosciuto. Il legittimo successore alla presidenza, considerando che il parlamento era stato sciolto a gennaio 2020, avrebbe dovuto essere il presidente della Corte suprema di giustizia, René Silvestre, morto però poche settimane fa per Covid-19. A rendere ancora più complessa la situazione ci si è messo l’annuncio del senato haitiano del 9 di luglio, che ha designato in autonomia Joseph Lambert come il nuovo presidente interino.
Riguardo alle indagini, a oggi sono state arrestate 23 persone per l’omicidio di Jovenel Moïse, dei quali 18 ex militari colombiani e 5 cittadini haitiani-statunitensi. Inoltre sono state applicate misure cautelari a 24 agenti e responsabili dell’unità di sicurezza presidenziale. Nel frattempo Marta Lucía Ramírez, vicepresidentessa e ministra degli esteri di Colombia ha assicurato che i militari colombiani non sono dei mercenari, cercando di difendere la figura delle forze armate colombiane che però sia dentro che fuori dal paese vedono la loro immagine sempre più compromessa.
Gli Stati Uniti d’America risultano coinvolti su più fronti, non solo per i movimenti di Sanon in Florida, l’impresa CTU service con sede nel Doral e la cittadinanza statunitense di 5 degli arrestati. Da chiarire anche l’eventuale partecipazione della Dea (Drug Enforcement Agency) visto che uno degli haitiani-statunitensi arrestati aveva lavorato in precedenza per l’agenzia e che in casa di Sanon sarebbe stato rinvenuto un cappello con il logo della Dea. Inoltre sono ormai centinaia gli haitiani che hanno preso d’assedio in questi giorni l’ambasciata Usa nel paese caraibico, per chiedere un visto che gli permetta di scappare da quello che sembra sempre di più un inferno in terra.