Geova: repressione organizzata, discriminazione e pugno di ferro

La situazione contraddittoria dei Testimoni di Geova tra persecuzioni, assurde accuse, repressione e resistenza nel mondo, in particolare nell’ex Urss, nella Federazione russa, in Bielorussia e nelle repubbliche separatiste, raccontata da Yurii Colombo qui e in un ampio capitolo del suo nuovo libro pubblicato da OGzero, La spada e lo scudo


I Testimoni di Geova sono  stati spesso al centro delle polemiche in tutto mondo. I loro metodi di proselitismo, la forte coesione interna dei credenti, le prescrizioni e i divieti (come per esempio alla trasfusione), il loro rifiuto ostinato di esercitare il servizio militare hanno spinto talvolta alcuni paesi autoritari se non apertamente dittatoriali a reprimere i suoi aderenti. È abbastanza nota la vicenda della repressione dei Testimoni nella Germania nazista. Nell’ormai classico studio di Detlef Garbe del Between Resistance and Martyrdom: Jehovah’s Witnesses in the Third Reich è stato raccontato nel dettaglio come fu che a partire dal 1935 oltre 10.000 Testimoni di Geova, per la maggior parte di nazionalità tedesca, venissero imprigionati nei campi di concentramento hitleriani. Divennero riconoscibili nei lager tedeschi con l’infame segno sulle casacche di un triangolo viola. In seguito a partire dal 1939 una parte di loro furono deportati in altri paesi del Centro Europa e si stima che circa 5000 credenti perirono nelle prigioni e nei campi nazisti.

I Testimoni nel mondo

Durante il conflitto i Testimoni subirono persecuzioni anche negli Stati Uniti d’America. Successivamente vennero attaccati e subirono una significativa riduzione dei propri diritti in paesi autoritari come la Cina e Cuba (fuorilegge dal 1° luglio 1974 ma la misura è stata successivamente annullata), o come il Sud Africa; ma anche da paesi che si professano campioni della democrazia e dei diritti umani come la Francia. Oggi sono decine ancora i paesi del mondo che vietano il culto della religione avventista, mentre in molti altri la loro attività è appena tollerata.

Il caso più tragico resta quello dell’Eritrea. Qui tutti i cittadini tra i 18 e i 50 anni sono tenuti per legge a servire nell’esercito per 18 mesi. A causa del loro rifiuto di servire sulla base del loro credo religioso, i Testimoni di Geova sono stati privati nel paese africano della cittadinanza, è stato negato l’accesso alle opportunità di lavoro e ai benefici governativi, e sono stati arbitrariamente imprigionati in cattive condizioni.

A novembre 2020, c’erano in Eritrea 52 Testimoni di Geova imprigionati per aver partecipato a riunioni o cerimonie religiose, alla predicazione e all’obiezione di coscienza al servizio militare. Alcuni di questi Testimoni sono stati imprigionati per più di 20 anni. Secondo i rapporti forniti dalla congregazione, quattro Testimoni di Geova sono morti in prigione e tre anziani sono morti poco dopo il loro rilascio, a causa delle cattive condizioni di detenzione e dei maltrattamenti da parte delle autorità carcerarie.

 

In Russia la situazione è appena migliore

La tragica epopea sotto lo stalinismo dei credenti in Geova in Urss e la reiterazione di misure repressive nei loro confronti a partire dal 2017 anche nella Federazione russa è già stata descritta in un capitolo del mio libro La spada e lo scudo pubblicato da OGzero.

Negli ultimi mesi la situazione è restata comunque complessa: sono 73 i seguaci di Geova a oggi in prigione, 31 quelli agli arresti domiciliari mentre i casi penali che li riguardano sono oltre mille.

E a fronte della determinazione dei “fratelli” di proseguire le loro attività di culto, sono frequentissimi le perquisizioni in case private.

Come abbiamo già sottolineato il divieto della pratica e dell’attività di proselitismo della “Torre di Guardia” in Russia non può essere ricondotto alla posizione di fatto preferenziale data alla Chiesa ortodossa, visto che la sproporzione tra le due religioni in termini di influenza culturale e disponibilità economiche è abissale e il culto della religione musulmana in repubbliche autonome come il Tatarstan è ampiamente tutelato. Si tratta piuttosto della convergenza di almeno tre fattori e rimandi.

Il primo è il rifiuto dei Testimoni a prestare il servizio militare.

In un paese in cui con l’esplosione della Guerra Fredda 2.0 il confronto con l’Occidente è tornato a essere un elemento fondante della narrazione propagandistica e dove il complesso militar-industriale resta uno dei pilastri dell’economia, l’esistenza di un settore – seppur minuscolo – della popolazione che ostinatamente si dichiara contro qualsiasi collaborazione quando si tratta di imbracciare le armi rappresenta potenzialmente un pericolo per la coesione sociale. Tanto è vero che i credenti vengono perseguitati formalmente non per l’attività di proselitismo quanto per “estremismo”.

Questo aspetto si collega al secondo: il timore o la percezione degli organi dell’intelligence russa che la fede in Geova sia in realtà un cavallo di Troia del governo americano per fomentare dissidenza e opposizione in Russia.

Negli anni Cinquanta del XX secolo la denuncia dei Testimoni negli Stati Uniti delle persecuzioni subite in Urss qua e là assunse i toni – secondo alcuni studiosi – della propaganda anticomunista e anche oggi il governo americano ha fatto da megafono spesso alle denunce dei Testimoni, alimentando fobie e sospetti. I Testimoni però, da parte loro, hanno sempre negato qualsiasi legame con la Casa Bianca o la Cia: «Siamo apolitici e non interferiamo negli affari interni di qualsiasi paese in cui facciamo opera di proselitismo», sostengono i vertici dell’organizzazione religiosa.

Il terzo aspetto è la compattezza solidaristica interna dei nuclei del Testimoni, un elemento in controtendenza in una società russa sempre più atomizzata.

Tuttavia un piccolo  spiraglio ultimamente sembra essersi aperto.

Si apre uno spiraglio contraddittorio

Il 28 ottobre 2021, il plenum della Corte Suprema della Federazione russa ha stabilito che i servizi divini dei Testimoni di Geova, i loro rituali e cerimonie congiunti non costituiscono di per sé un crimine ai sensi dell’art. 282.2 del Codice penale della Federazione Russa, nonostante la liquidazione delle loro persone giuridiche. Durante la riunione della sessione plenaria, il giudice relatore Elena Peisikova ha osservato che erano emersi nuovi chiarimenti in esecuzione delle istruzioni del presidente della Russia (segnali di apertura erano venuti da Putin  già nel 2018). Inoltre, durante la riunione della Plenaria, è stato osservato che i nuovi chiarimenti sono stati ripetutamente discussi nelle riunioni del gruppo di lavoro allargato con la partecipazione dell’Fsb (i servizi segreti russi). «Sembra – ha concluso il giudice relatore – che tale spiegazione consentirà di unificare la prassi esistente di applicazione dell’articolo 282.2 del Codice penale ed evitare casi di irragionevole perseguimento delle persone unicamente in relazione alla manifestazione esterna del loro atteggiamento nei confronti della religione». Un’apertura che va in controtendenza con il rigetto delle domande dei condannati della revisione dei processi e nelle colonie penali. Ultimamente le sentenze di 11 credenti condannati sono già state esaminate nei tribunali di Cassazione, ma la legislazione russa si riserva il diritto di presentare un secondo ricorso per Cassazione – alla Corte suprema della Federazione russa. La settantenne Valentina Baranovskaya inoltre, che, nonostante un ictus subito durante le indagini, si trova in una colonia, sta preparando un ricorso per cassazione alla Corte Suprema della Federazione russa, per poter essere liberata per motivi umanitari.

Valentina Baranovskaya, la Testimone di Geova che si appella alla liberazione per motivi umanitari.

 

Dennis Christensen, cittadino danese e membro dei Testimoni di Geova, colpevole di “organizzare l’attività di un’organizzazione estremista” in Russia che è stato condannato a sei anni di carcere. Christensen, pur detenendo il passaporto danese, risiede in Russia dal 1999. È stato arrestato a Oryol nel maggio 2017, un mese dopo che il gruppo religioso era stato bandito.

Fuorilegge nell’ex Urss…

Contraddittoria appare complessivamente la situazione dei Testimoni in tutta l’ex Urss. Se in Turkmenistan e Tagikistan i seguaci di Geova sono fuorilegge e rischiano sanzioni penali e amministrative, anche in Georgia la situazione resta delicata dopo che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo aveva denunciato una decina di anni fa una strisciante discriminazione nei confronti dei Testimoni. Non appare brillante il quadro neppure in Ucraina malgrado questo paese abbia chiesto di entrare nell’Unione Europea e di voler rispettare i diritti umani. A Kryvyj Rih, nell’Ucraina orientale, dopo che le autorità avevano rifiutato di assegnare alla chiesa un terreno per costruire un tempio la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha ordinato a Kiev, nel  2019, di pagare un risarcimento alla chiesa dei Testimoni di Geova.

… e accusati di essere nazisti…

Di totale chiusura verso i Testimoni è invece l’atteggiamento dei separatisti delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk accusata di «fornire assistenza all’Sbu (i servizi segreti ucraini N.d.R.) e ai gruppi neonazisti», come ha affermato Aleksandr Basov, uno dei responsabili della sicurezza di Lugansk. «Durante l’ispezione dei locali appartenenti all’organizzazione religiosa dei Testimoni di Geova nella città di Lugansk e nella città di Alchevsk, sono stati trovati e sequestrati materiali di propaganda contenenti simboli e attributi nazisti, così come volantini che invitano alla cooperazione con i servizi speciali ucraini», ha sottolineato Basov.

… ma liberi a Minsk

Di tutt’altro segno invece, paradossalmente, la situazione in Bielorussia. Malgrado il governo di Alexander Lukashenko resti sotto la lente d’ingrandimento delle istituzioni internazionali e dei diritti dell’uomo dopo la violenta repressione delle manifestazioni antiregime dell’estate del 2020, a Minsk e nelle altre città del piccolo paese slavo i cristiani avventisti svolgono le loro attività regolarmente, compresi i battesimi di massa negli stadi. Anzi, molti Testimoni russi, sono emigrati proprio in Bielorussia e godono della protezione del governo. Nell’aprile del 2020 il tribunale bielorusso ha rifiutato l’estradizione di un Testimone richiesta dalla polizia di San Pietroburgo che lo ricercava da tempo. E non si tratta di un’eccezione. A Brest e in altre città della Bielorussia molti russi credenti in Geova sono stati rilasciati dalla polizia dopo normali controlli e continuano la loro vita di ospiti-esuli del paese senza problemi particolari. Non si può prevedere quale sarà l’atteggiamento di Minsk nei confronti della piccola organizzazione religiosa nel futuro visti i legami politici oltre che economici sempre più stretti tra la Russia e la Bielorussia, ma a oggi l’atteggiamento delle autorità bielorusse resta quello della prudente apertura.

Pavel Yadlovsky, il presidente dell’organizzazione bielorussa dei Testimoni di Geova, attribuisce il rifiuto dell’estradizione al fatto che i Testimoni di Geova operano legalmente in Bielorussia. Sono registrati come un’organizzazione nazionale autogestita con 27 gruppi a livello di comunità in varie città. «È difficile dire [perché le richieste di estradizione sono state negate]. Forse ci sono differenze nella formulazione degli articoli sull’estremismo nella legislazione russa e bielorussa che hanno permesso all’ufficio del procuratore di prendere una tale decisione», suggerisce Yadlovsky.