La terra, il petrolio e il conflitto

Luz Marina Arteaga

Il corpo di Luz Marina Arteaga è stato ritrovato lungo il Río Meta lo scorso 17 gennaio, a 5 giorni dalla scomparsa della donna dalla sua residenza nel paesino di Orocué, nella pianura orientale colombiana non lontana dalla frontiera con il Venezuela. È il drammatico esito di una storia già scritta che non lascia speranza, tanto che fra dolore e tristezza, molti sospettano che non poteva esserci finale diverso.

Luz Marina Arteaga, medica, attivista, leader sociale e comunitaria, aveva alle spalle una vita intera di lotte per i diritti delle comunità indigene e contadine: una traiettoria politica che l’aveva portata a collaborare nei processi di base delle fasce sociali che più di tutte hanno sofferto il conflitto interno colombiano e che sono sempre rimaste ai margini della storia e della giustizia. Oggi come ieri.

Nei territori di Orocué, Porvenir e Matarratón, zone che si estendono lungo la frontiera fra i dipartimenti del Meta e di Casanare, Luz Marina Arteaga è stata attiva in prima linea e fino alla fine dei suoi giorni nella lotta per la restituzione delle terre alle comunità indigene e contadine che a causa del conflitto armato, del paramilitarismo e della privatizzazione, sono rimaste senza nulla. La sua è stata e continua a essere una lotta che esemplifica chiaramente la conflittualità sociale presente in buona parte della Colombia, del Sudamerica e non solo: una lotta che svela interessi e alleanze, dinamiche di corruzione, di guerra e di violenza. Al centro, il cuore e il motore del conflitto: la tierra, risorsa e condanna per centinaia di migliaia di persone.

Brian Cardenas, avvocato della Corporación Claretiana Norman Pérez Bello, spiega il ruolo di questa organizzazione attiva nell’accompagnamento sociale e giuridico alle comunità contadine e indigene, e poi nel ricordare il ruolo assunto da Luz Marina Arteaga riassume il processo di lotta per il recupero della terra che le è costata la vita.

La lotta per la terra

Impossibile e ovviamente troppo pericoloso indicare mandanti e mercenari responsabili dell’assassinio dell’attivista, ma le dinamiche sono chiare: quelle che passano attraverso azioni di rioccupazione dei territori di proprietà storica.

“Lucha Tierra”.

Tutto ciò si accompagna a un caso giuridico durato anni, le comunità di Matarratón e Porvenir ottengono due sentenze a loro favore da parte degli organi più alti della giustizia colombiana, la Corte Suprema (STP 16298 del 2015) e la Corte Constitucional (SU-426 del 2016), le quali determinano che lo stato deve restituire loro le terre e assicurare diritti con prospettiva etnica e collettiva, servizi pubblici e garanzie di sicurezza. Ma proprio qui, nella pianura infinita che separa il dire e il fare, l’assetto giuridico e la sua realizzazione pratica, si perde la giustizia e si crea un vuoto colmato da gruppi armati che rappresentano gli interessi di chi sta al di sopra della legge.

Il risultato è che lo stato e i grandi latifondisti si organizzano in vari modi: i territori in questione vengono dichiarati zone di interesse per lo sviluppo economico, sostituiscono la popolazione mostrando che la restituzione si sta effettuando secondo le regole salvo poi espellerla per mantenere i titoli di proprietà, vittime e carnefici del conflitto armato si confondono con tutte le conseguenze del caso, e non da ultimo contrattano e organizzano gruppi paramilitari perché prevalga la loro volontà. Così, alla fine, non rimane che l’esito scontato per quelle persone che si ostinano a reclamare diritti e giustizia.

Nel caso di Luz Marina Arteaga come in quello di molte altre attiviste e attivisti, lo stato e le istituzioni hanno una responsabilità diretta anche rispetto all’assenza di protezione e misure di sicurezza che dovrebbero garantire, soprattutto nei casi in cui l’omicidio è preceduto da svariate minacce e ricatti.

Quanto alle modalità, Brian Cardenas della Corporación Claretiana Norman Pérez Bello non ne è per nulla sorpreso: in questo tipo di casi si va ben oltre un semplice proiettile o un “omicidio convenzionale”. L’idea è quella di colpire la figura più emblematica della lotta sociale per mandare un messaggio all’intera comunità, e per questa ragione l’agguato avviene in modo estremamente violento ed è quasi sempre preceduto dalla scomparsa – desaparición – della persona.

 

Centroriente: petrolio e conflitto

Così come l’Occidente colombiano che si apre sull’Oceano Pacifico e che vede nel porto di Buenaventura il principale sbocco per il commercio di ogni tipo di merce e sostanza, anche la pianura Centrorientale assume un ruolo strategico e attrae vari tipi di attori. La vicinanza con la frontiera venezuelana crea commerci di ogni genere, ma il Centroriente colombiano è conosciuto soprattutto per essere zona di estrazione di petrolio (circa un quarto della produzione a livello nazionale trova radici nei dipartimenti di Arauca, Meta e Casanare), per cui non sorprende la presenza di grandi imprese straniere che si dedicano a questa attività.

Già negli anni Trenta venne scoperta la ricchezza presente nel sottosuolo della regione, ma fu solo a partire dai primi anni Cinquanta che l’impresa Texas Petroleum Company (Texaco) cominciò le attività di estrazione di petrolio. Queste ultime si intensificarono esponenzialmente durante gli anni Ottanta, con la scoperta dei pozzi di Caño Limón (dipartimento di Arauca), Cupiagua e Cusiana (dipartimento di Casanare). Si trattava di riserve di petrolio con una capacità stimata in 100 miliardi di barili. In epoca più recente, dal 2010 a questa parte, nei municipi di Trinidad, San Luis de Palenque e Orocué (esattamente dove viveva Luz Marina Arteaga) sono stati destinati vari pozzi all’estrazione da parte di imprese come Alange, Canacol Energy, Pacific Rubiales e Lewis Energy Colombia INC. Altre multinazionali presenti nel territorio sono Parex Resources ed EcoPetrol.

Le implicazioni per le comunità presenti nel territorio sono molte e ancora una volta trovano nella terra il punto di partenza e di arrivo: vanno dall’inquinamento delle acque alla sottrazione di spazi per il pascolo e l’agricoltura, mentre a livello giuridico si traducono nel mancato rispetto del diritto alla consulta previa secondo la quale le comunità presenti nel territorio possono decidere se accettare o meno i “mega-progetti” che le vedono implicate. Infine le più gravi implicazioni in termini di vite e diritti umani consistono negli omicidi selettivi da parte dei gruppi armati e nello sfollamento forzato di intere comunità: la logica denunciata da queste ultime vede nella creazione di “zone di conflitto” e nella militarizzazione del territorio la giustificazione per espellere la popolazione civile e permettere in tal modo l’entrata delle multinazionali, con tutti i giochi di potere e di corruzione del caso.

Pressioni sulle comunità: violenze antisindacali e conflitti tra guerriglie

Squadrismo paramilitare petroliero

In questo scenario il paramilitarismo gioca un ruolo centrale; e del resto in questa zona del paese già durante la violenza degli anni Cinquanta i conservatori crearono i pajaros, gruppo armato impegnato nella repressione della resistenza liberale guidata da Guadalupe Salcedo. Fu poi a partire dagli anni Novanta che si incrementò il fenomeno del paramilitarismo, quando l’impresa British Petroleum (BP) favorì la creazione di “gruppi di sicurezza privata”. Si moltiplicarono così gli esempi: il gruppo Martín Llanos, le Autodefensas Unidas del Casanare e le Autodefensas Campesinas de Casanare (Acc o Los Buitragueños), i quali non entrarono nel processo Jusiticia y Paz di smobilitazione delle più famose Autodefensas Unidas de Colombia (Auc) nel 2005.

Il loro operato si tradusse sempre – e continua a farlo oggi – in attacchi verso le organizzazioni sindacali che si oppongono agli interessi delle imprese, verso le comunità in resistenza per la difesa del territorio, verso i leader sociali e gli attivisti di base.

Quanto accaduto a Luz Marina Arteaga non è che un altro esempio del tipo di repressione che spetta a chi osa toccare gli interessi dei potenti, mentre l’altra certezza è che insieme alla terra, il petrolio ha alimentato il conflitto e la violenza da oltre mezzo secolo a questa parte.

Guerriglie e giochi di potere

Il Centroriente colombiano, soprattutto nei dipartimenti di Arauca e Casanare, è pure territorio storico di controllo della guerriglia: l’Eln principalmente e in minor misura le Farc. Imprese multinazionali, esercito e gruppi paramilitari hanno da sempre dovuto fare i conti con loro e molte zone sono rimaste inaccessibili all’estrazione di petrolio proprio grazie alla presenza della guerriglia.

La situazione fino a qualche mese fa non mostrava grandi differenze rispetto al passato, con una forte presenza politica dell’Eln nel substrato politico e popolare e con l’espansione militare del Frente 10 e 28 delle dissidenze delle Farc agli ordini di alias Gentil Duarte, mai entrati nelle trattative degli Accordi di Pace del 2016. Fra Eln e Farc reggeva un patto di alleanza politica, militare e ideologica stretto nel 2013 e mantenuto anche dopo il 2016, a seguito di una lunga guerra fra il 2004 e il 2010 che costò la vita a 500 civili e 600 combattenti.

Frente e Eln

Nel corso del 2021 qualcosa è tuttavia cambiato: nel mese di marzo è stato dato l’allarme per l’espansione del paramilitarismo nelle zone di controllo storico della guerriglia, e quasi al contempo Maduro ha dichiarato guerra alla dissidenza delle Farc (Frente 10) attiva lungo la frontiera fra Colombia e Venezuela. A inizio 2022 le dissidenze delle Farc hanno dichiarato guerra all’Eln e in un comunicato hanno affermato la costituzione del Comando Conjunto del Oriente, composto dal Frente 10, 28, 45 e 56, con l’idea di riattivare i blocchi di guerra delle antiche Farc. Tutto ciò malgrado un’altra fazione delle Farc pure presente nel territorio, la Segunda Marquetalia agli ordini di Ivan Márquez – entrato nelle negoziazioni degli Accordi di Pace e poi sottrattosi – sarebbe invece alleata con l’Eln.

Sono scenari che possono sembrare irreali ma che rispondono a interessi politici ed economici oltre che a strategie militari; quel che è certo è che in questo inizio di 2022, tali avvicendamenti hanno lasciato una lunga scia di sangue: a farne le spese è stata soprattutto la base civile e il movimento sociale, come dimostrano gli attacchi del Frente 28 delle Farc all’acquedotto autogestito di Saravena e l’autobomba fatta esplodere lo scorso 19 gennaio di fronte alla sede del Congreso de los Pueblos, movimento politico legato ideologicamente alla linea dell’Eln. Oltre a ciò, in questo mese di gennaio si contano 20 omicidi selettivi e 3 stragi nella regione.

Diverse organizzazioni sociali concordano nel dire che lo stato e le dissidenze delle Farc presenti nel territorio si sarebbero alleati per combattere contro l’Eln, e non a caso i principali scontri militari starebbero avvenendo in zone di interesse per l’estrazione di petrolio fino a oggi inaccessibili perché sotto controllo dell’Eln stesso, come è il caso della regione de La Esmeralda. A ciò si aggiunge la forte repressione da parte dello stato, che considera eleno – appartenente alla guerriglia dell’Eln – ogni attivista delle comunità contadine e indigene, mentre al contempo denuncia la complicità del governo venezuelano nell’appoggiare tale guerriglia.

Uno scenario complesso

La scomparsa e il successivo assassinio di Luz Marina Arteaga risponde a una logica piuttosto chiara in quanto rappresenta una punizione per il suo impegno nelle lotte per la restituzione della terra; al contempo si inserisce in un contesto socio-politico specifico e relativamente nuovo, in cui si presentano scontri fra guerriglie e possibili alleanze fra stato, dissidenze e paramilitari, tanto più in una zona di frontiera (chiusa ufficialmente) con il Venezuela e in un clima di relazioni bilaterali pressoché inesistenti specialmente da quando Duque ha smesso di riconoscere Maduro come legittimo presidente.

 

Uno scenario che dimostra la profondità e la complessità del conflitto interno colombiano, tutto fuorché terminato con gli Accordi di Pace del 2016.

Al contempo, dall’altro lato del paese, a Cali, a inizio gennaio l’Eln ha rivendicato un attacco esplosivo che ha ferito 14 agenti dell’Esmad (il corpo antisommossa della polizia) in risposta alla violenta repressione messa in atto durante le proteste del Paro Nacional e all’uccisione del comandante alias Fabián lo scorso mese di settembre. Nella capitale Bogotá, invece, pochi giorni fa è stata trovata una bomba pronta per essere fatta esplodere nella sede del partito di ex combattenti delle Farc, Comunes.

Tutti segnali piuttosto univoci nel suggerire che la campagna elettorale è in pieno corso e che il 2022 promette di essere un altro anno molto intenso.