E il fiume mormorava in tigrino e amarico

1985, la siccità strema il Corno d’Africa, il fotografo dipinge con quello che ha, i fasci di luce inquadrano un sottobosco di umanità disperata in fuga da fame e guerra. La regione era il Tigray, il fotografo Sebastião Salgado. Allora il celeberrimo scatto del fotografo brasiliano squarciò il velo che nascondeva il quadro dove all’aridità dei campi tigrini si sommava la guerra portata dagli eritrei filoamericani contro il regime filosovietico di Menghistu, impedendo il transito di aiuti. Si contò un milione di morti alla fine della carestia.

Sebastião Salgado, Kalema Camp – West Tigray, 1985 – mostra di Nice, agosto 2021. Un servizio della Bbc lo definì “la cosa più vicina all’inferno sulla terra”

2021, di nuovo guerra. Anzi, non è mai finita. Di nuovo truppe eritree protagoniste di atrocità in Tigray; ancora deportazioni e campi di concentramento per profughi eritrei fuggiti dal regime di Isaias Afewerki e per tigrini nel mirino della pulizia etnica oromo e ahmara, che vuole vendicare 30 anni di potere tigrino in Etiopia. La differenza sta nell’alleanza inaudita tra Addis Abeba e Asmara, che ha prodotto il consueto corollario di massacri, saccheggi, stupri, torture, esecuzioni e sparatorie; e nell’alleanza stipulata tra Fronti di liberazione tigrino e oromo, che promettono di allargare il conflitto, facendolo diventare Guerra civile di tutta la nazione.

E corpi portati dal Tekezé a valle, in Sudan, dove si chiama Setit.

Tigray 2021

Sponde del Tekezé a Wad el-Hiliou – Kassala, 4 agosto 2021

In questo agosto distratto da conflitti in altre aree strategiche truppe eritree attraversano nuovamente il fiume Tekezé che fa da confine e che ha visto migliaia di morti e 2 milioni di sfollati dall’inizio dell’operazione militare scatenata a novembre da Abiy Ahmed, il presidente etiope. A giugno il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf) aveva riconquistato l’intera regione, entrando a Mekallé e costringendo gli etiopi al cessate il fuoco.

Claudio Canal si sofferma brevemente ma efficacemente sugli aspetti che coinvolgono l’umanità oppressa dalla guerra e in particolare le violenze di genere correlate.


Il fiume scorre serafico come sempre.  Il Tekezé è un fiume geopolitico, segna il confine tra l’Etiopia e l’Eritrea e tra Etiopia e Sudan dove cambia nome e diventa Setit. Separa anche l’area delle lingue amarica e tigrina.  Come tutti i torrenti e i fiumi del pianeta trasporta ciò che cade in acqua o vi è gettato. In questi giorni scorrono corpi umani martoriati che dal Tigray [più noto come Tigré nella versione italiana], vasta regione settentrionale dell’Etiopia, galleggiano senza una meta verso il Sudan.

Una guerra la si può vincere o perdere, ma, essendo una macchina di produzione, lascia dietro di sé deiezioni in forma di corpi esanimi. Qualche volta raccolti e sepolti, altre volte lasciati lì a tornare polvere. Salvo che un fiume o un mare li accolga e li smuova secondo le proprie leggi. Fino a questo momento una cinquantina o più. Il fiume racconta che nel suo medio-alto corso è in atto una tragica inimicizia tra esseri umani.

Tigray 2021

Una geopolitica bizzarra ci dice che ex nemici accaniti, che si scontravano da decenni non badando ai morti, Etiopia ed Eritrea, adesso si sono scoperti alleati. Una, con un primo ministro, Abiy Ahmed Ali, laureato Nobel per la pace 2019 e dottorando in guerra; l’altra, con un presidente che si può classicamente definire tiranno. Un ossimoro istituzionale che la realtà però sopporta bene. Un pizzico di accortezza in più ai giurati del Nobel ne consoliderebbe la fama. Ci dice anche, questa geopolitica stravagante, che l’Etiopia è entrata in guerra con se stessa tramite una meno eccentrica e più consolidata forma di guerra civile, iniziata nel novembre scorso. L’obiettivo era ridurre a più miti consigli la leadership del Tigray, che nei decenni passati aveva governato l’Etiopia. Uno scontro di poteri abbastanza tradizionale in cui si è inserita bellicosamente l’Eritrea, in attesa che altri attori dell’area dicano la loro con i propri eserciti. Accendere i motori di una guerra è facilissimo. Difficilissimo anche solo metterla in folle.

Non riassumo i nove mesi di guerra ora in accelerata ripresa. Una aggiornata cronaca si può trovare nella sempre documentata “Nigrizia  e telegraficamente tramite la sintesi della penna di Dave Lawler.

“Tigray nascosto: silenzioso annientamento di una comunità”.

 

Due temi vorrei sottolineare:

  1. se ti arriva la guerra sotto casa o direttamente dentro cosa fai? Cerchi di scappare. È quello che sta massivamente succedendo. Non bastasse, c’era chi già era fuggito dalla confinante Eritrea e stazionava in campi profughi abbastanza improvvisati. Fuggiva dalla, chiamiamola così, antidemocrazia dell’Eritrea, dai suoi soprusi e dalla povertà, e nella tappa in Tigray ritrovava anche una lingua comune, il tigrino [lingua del ceppo semitico come l’amarico, lingua ufficiale dell’Etiopia, preceduta in quanto a numero di parlanti dall’oromonico della nazionalità oromo]. La partecipazione diretta dell’Eritrea alla guerra a fianco dell’Etiopia ha significato per i rifugiati eritrei dover fare i conti, di nuovo, con l’esercito eritreo che non è noto per il rispetto di alcunché. Non è difficile immaginare il disastro della guerra sui loro volti. I superstiti stanno forse sognando un barcone che attraversi il Mediterraneo e li porti in salvo chissà dove.

È il cinismo della geopolitica, che descrive, ma non può render conto dei moti sotterranei delle vite singole e collettive.

        2. «Non so se si sono accorti che ero una persona»

È la dichiarazione di una donna stuprata dai soldati nel Tigray. È anche il titolo del rapporto di Amnesty International e il contenuto di numerose altre inchieste curate dalla Reuters e del Georgetown Institute for Women, Peace and Security e del Kujenga Amani e nuovamente “Nigrizia” e…

Siamo in tempi di turismo, d’arte e d’altro. Passeggiando per Firenze in piazza san Lorenzo è possibile ammirare il monumento che Baccio Bandinelli scolpì nel 1540 per celebrare il condottiero Giovanni della Bande Nere che oggi verrebbe definito contractor e in tempi meno eleganti mercenario.

Le guide descrivono il bassorilievo del basamento come scene di guerra.  Effettivamente. Si vede la cattura di una donna, preludio al suo uso sessuale, come da sempre le regole belliche hanno decretato e che il Novecento ha visto intensificarsi e proliferare fino a oggi. Una terribile ed efficace forma di deterrenza e di intimidazione che si rivolge alle altre donne e ai loro uomini.

Le donne del Tigray gridano che questa storia non è per niente finita, ma dicono anche che da certe orecchie non ci sentiamo. La loro solitudine continua.

Postilla: Eritrea ed Etiopia sono state due colonie italiane. Una, la primigenia, l’altra, l’ultima a essere aggredita dalle truppe del Regio Esercito. Silenzio desertico dalle nostre parti, orfane anche della memoria storica di Angelo Del Boca.


Il Sudan ha convocato l’ambasciatore etiope a Khartoum per informarlo che i 29 cadaveri trovati sulle rive del fiume Setit, al confine con l’Etiopia, tra il 26 luglio e l’8 agosto, erano cittadini di etnia Tigray; i cadaveri sono stati identificati da cittadini etiopi residenti nella zona di Wad al Hulaywah, nel Sudan orientale. Il 5 settembre un reportage della Cnn ha riacceso i riflettori sul Tekezé e sui corpi mutilati che sussurrano nel suo alveo.

Questo scontro diplomatico avviene dopo il ritrovamento e il sequestro, da parte delle autorità sudanesi, di 72 scatole, contenenti armi e binocoli per la visione notturna, arrivate via aereo dall’Etiopia il 4 settembre. Nella serata del 6 settembre, il Ministero degli Interni sudanese ha affermato che la spedizione, che includeva 290 fucili, apparteneva ad un commerciante autorizzato, Wael Shams Eldin, ed era stata controllata e ritenuta in regola. Anche la compagnia aerea etiope ha confermato che le armi erano pistole da caccia che facevano parte di una spedizione verificata. Le armi erano giunte dalla Russia all’Etiopia nel maggio 2019. Le autorità etiopi le avevano tenute ad Addis Abeba negli ultimi due anni, ma, senza preavviso, il 4 settembre, avevano autorizzato il loro trasporto a Khartoum su un aereo civile. I primi sospetti delle autorità sudanesi si erano indirizzati contro i lealisti del governo dell’ex presidente Omar al-Bashir, accusati dai funzionari del Consiglio di transizione di voler minare la svolta democratica del Paese. Le tensioni tra il Sudan e l’Etiopia sono aumentate da quando il conflitto nella regione settentrionale etiope del Tigray si è intensificato e la disputa sulla costruzione della diga Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd) non si è ancora risolta.

La guerra si estende e comprende nuovi motivi di astio…