Competizione africana tra Usa e Cina sul litio

Competizione africana tra Usa e Cina sul litio

La corsa al litio nascosto nel suolo delle nazioni-minerarie africane prosegue, nonostante alcuni governi cerchino di “proteggere” l’emorragia di terre rare; certi giacimenti sono già controllati e di proprietà cinese. Forse su imbeccata americana, oppure invece solo innescando meccanismi di confronto tra poteri interni ai paesi, si è operato in modo da imbrigliare l’esportazione per aggirare il monopolio che stavano costituendo i possedimenti stranieri dei minerali più ricercati. Una corsa che ha accelerato negli ultimi mesi la sua corsa, perché indispensabili nelle lavorazioni delle nuove tecnologie e dei prodotti collegati al superamento dell’energia fossile. Da un lato il bell’articolo che Marco dell’Aguzzo ha scritto per “StartMag” il 2 gennaio si sofferma sull’episodio dell’export ban del litio adottato dal governo dello Zimbabwe, con la anodina e conseguente decisione di Pechino di aprire raffinerie di litio in loco (ma episodi di precedenti cantieri lasciano immaginare che anche le maestranze saranno importate), anche se si ha notizia di una deroga al bando delle esportazioni nel caso di investimenti annosi – e dunque le miniere cinesi risulterebbero in gran parte esentate; dall’altro Giuseppe Gagliano il 6 gennaio ha ripreso l’argomento sempre su “StartMag”, approfondendo gli aspetti collegati al boom della richiesta di litio che ha fatto lievitare i prezzi di 10 volte in 2 anni, con gli episodi di corruzione (in particolare in Namibia) che hanno interessato i governi di quel paese. Abbiamo chiesto di riprendere i due articoli (le immagini non appartengono agli articoli originali) perché completano il quadro che OGzero ha realizzato nel dossier sulle armi da cui sta prendendo forma un libro dedicato al traffico nel 2022 come paradigma delle modalità dello spaccio di armi, mettendo in relazione quale compra-vendita di macchinari bellici si può riscontrare a fronte del frenetico estrattivismo in terra africana innescato dalla guerra in Ucraina e dalla conseguente diversificazione energetica.

 


2 gennaio 2023,

di Marco dell’Aguzzo

Export ban del litio in Zimbabwe

Il 20 dicembre il ministro delle Miniere dello Zimbabwe, nell’Africa meridionale, ha annunciato un divieto di esportazione di litio grezzo, un metallo utilizzato per le batterie dei veicoli elettrici.
Le esportazioni di minerali valgono circa il 60 per cento delle entrate zimbabwesi legate alle esportazioni; il settore minerario, invece, contribuisce al prodotto interno lordo per il 16 per cento.

Harare punta a sfruttare le materie prime di cui dispone per stimolare la crescita, sul territorio nazionale, di una filiera industriale completa, che non si limiti cioè all’estrazione del litio ma comprenda anche la sua raffinazione e la produzione di batterie, le due attività a maggior valore aggiunto.
Lo Zimbabwe possiede i depositi di litio più grandi di tutta l’Africa. La miniera di Bikita, la più importante del paese, contiene riserve per 10,8 milioni di tonnellate.

Dopo che lo Zimbabwe ha comunicato la decisione le aziende cinesi che hanno investito nella nazione dovranno costruirvi anche degli impianti di raffinazione del materiale.

La miniera di litio di Bikita, in Zimbabwe.

Quali sono gli interessi coinvolti?

È uno sviluppo rilevante, perché il litio è un metallo critico per la transizione energetica, essendo fondamentale per la produzione delle batterie dei veicoli elettrici. Lo Zimbabwe ne è il sesto maggiore produttore al mondo, e si pensa che possieda i depositi inesplorati più grandi di tutta l’Africa. La Cina, invece, vale da sola circa il 60 per cento della capacità di raffinazione globale.

Gli intenti dello Zimbabwe (e altre nazioni)

Attraverso il ban all’esportazione del litio grezzo, lo Zimbabwe punta a sfruttare le materie prime di cui dispone per stimolare la crescita sul proprio territorio di una filiera industriale completa: ossia di una supply chain che non si limiti all’estrazione del metallo, ma comprenda anche la sua raffinazione e la produzione di batterie, le due attività a maggior valore aggiunto.

La mossa dello Zimbabwe non è unica: anche l’Indonesia ha fatto grossomodo la stessa cosa, e con gli stessi obiettivi, con l’esportazione di nichel (un altro metallo critico per le batterie) e più recentemente di allumina (un minerale necessario alla produzione di acciaio). È un approccio che i critici hanno definito “nazionalismo delle risorse”.

Cosa comporta per gli interessi cinesi…

Le aziende cinesi che operano nell’industria zimbabwese del litio, e che in passato hanno effettuato acquisizioni di asset dal valore complessivo di miliardi di dollari, hanno due opzioni per continuare a esportare il metallo: aprire degli stabilimenti di raffinazione nel paese, oppure ottenere dal governo l’autorizzazione all’export della materia grezza per casi eccezionali.

 «L’apertura di raffinerie in Zimbabwe avrà un costo di centinaia di milioni di dollari e richiederà un periodo di due-tre anni tra costruzione e messa in servizio» (Chris Berry, presidente della società di consulenza sulle commodities House Mountain Partners, al quotidiano cinese “South China Morning Post).

… e per i prezzi…

Berry ha aggiunto che se altri paesi dovessero seguire l’esempio dello Zimbabwe, i prezzi del litio e degli altri metalli per la transizione energetica, come il cobalto, potrebbero aumentare. Negli ultimi due anni quelli del litio sono già cresciuti di circa il 1100 per cento a causa dello squilibrio tra offerta e domanda. In Cina (il mercato delle auto elettriche più grande al mondo) il prezzo spot del carbonato di litio ha raggiunto il valore record di 84.000 dollari a tonnellata lo scorso novembre.

… e per i mercati

Secondo Lauren Johnston, che si occupa dei rapporti tra Cina e Africa all’Istituto sudafricano di affari internazionali, «se un numero maggiore di paesi africani vieterà l’esportazione di minerali chiave per l’energia rinnovabili, ma non sono ancora pronti per lavorarli in patria a causa di problemi di governance, infrastrutture, energia e manodopera, questo potrebbe ostacolare lo sviluppo delle rinnovabili a livello globale».

La reazione cinese

L’anno scorso tre società estrattive cinesi – Huayou Cobalt, Sinomine e Chengxin Lithium – hanno acquisito progetti sul litio in Zimbabwe per un valore complessivo di 679 milioni di dollari. Due di queste – ossia Huayou Cobalt e Chengxin Lithium – stanno già lavorando allo sviluppo di stabilimenti di lavorazione, e dunque verranno esentate dal divieto di esportazione.

Huayou Cobalt, in particolare, ha acquisito la miniera di Arcadia, dove si estrae litio dalle rocce, dall’azienda australiana Prospect Resources per 422 milioni di dollari. Il governo zimbabwese aveva imposto a Huayou Cobalt la condizione che il minerale estratto dovesse venire lavorato nel paese per produrre batterie.

A settembre la compagnia cinese aveva detto al “South China Morning Post” che stava investendo 300 milioni nello sviluppo del sito, con l’obiettivo di aumentare la produzione di materiali per l’industria dell’auto elettrica. Aveva inoltre assicurato che non avrebbe esportato litio grezzo.

Chengxin Lithium, invece, ha speso 77 milioni per l’acquisizione dei diritti minerari nel progetto Sabi Star, nello Zimbabwe orientale, che contiene giacimenti di litio e di tantalio (un metallo utilizzato nella produzione di componentistica elettronica) perlopiù inesplorati. Ha destinato 130 milioni all’apertura di una raffineria di litio.

La Competizione USA-Cina sui metalli africani

A dicembre gli Stati Uniti hanno siglato un memorandum d’intesa con la Repubblica democratica del Congo e con lo Zambia per lo sviluppo di una “catena del valore dei veicoli elettrici”: i due paesi ospitano importanti giacimenti importanti di cobalto.

In occasione della firma del documento, il segretario di Stato Antony Blinken disse che Washington «esplorerà meccanismi di finanziamento e di sostegno agli investimenti nelle catene del valore africane dei veicoli elettrici».

Le aziende cinesi possiedono gran parte delle miniere di cobalto in Congo, che vale oltre il 70 per cento della produzione mondiale di questo metallo. Gli Stati Uniti, dunque, potrebbero voler cercare di contrastare l’enorme influenza di Pechino sul mercato delle materie prime per la transizione energetica.

Il Kivu: un non-luogo


Perché il prezzo del litio schizza in alto

6 gennaio 2023,

di Giuseppe Gagliano

L’aumento della domanda di litio manterrà alti i prezzi

Il prezzo del litio, ingrediente chiave nelle batterie dei veicoli elettrici, è salito del 1000% dal 2020 a 82.000 dollari per tonnellata a dicembre. L’aumento della domanda, man mano che la produzione di veicoli elettrici si espande, manterrà i prezzi alti.

Ci sarà carenza di litio?

Gli esperti del settore prevedono una carenza mentre le aziende occidentali e cinesi combattono con le unghie e con i denti per avere più risorse. Alla conferenza annuale Mines and Money a Londra il 29 novembre è stata sottolineata la necessità di dare priorità ai collegamenti della catena di approvvigionamento ai nuovi depositi più lo sviluppo della capacità produttiva intermedia.

Altrimenti, hanno avvertito gli esperti, la desiderata transizione energetica verde di molti paesi verso il trasporto a emissioni zero non sarebbe realizzabile entro il 2030.

Il ruolo della Cina e della Namibia

Mentre la Cina domina la produzione di batterie agli ioni di litio utilizzate nei veicoli elettrici, per le quali è il mercato più grande, rappresenta solo una piccola quantità di produzione mineraria di litio.

Infatti la Namibia e gli altri paesi africani con risorse di litio finora non sfruttate e altri “metalli per le batterie” – tra cui cobalto, grafite e nichel – sono stati presi di mira da aziende occidentali e cinesi alla disperata ricerca di nuove fonti di approvvigionamento.

Ad esempio la Lepidico australiana sta sviluppando una miniera di litio da 63 milioni di dollari e un impianto di lavorazione nei vecchi giacimenti di Helikon e Rubikon vicino a Karibib nella regione centrale di Erongo;

l’impianto in loco realizzerà concentrato per l’esportazione in un nuovo impianto di conversione chimica di 203 milioni di dollari ad Abu Dhabi. L’azienda prevede un tasso di rendimento interno annuo del 42% in 15 anni.

La Namibia indaga sulla Cina

Nel frattempo, le autorità namibiane stanno indagando sulle circostanze in cui un’azienda cinese finora sconosciuta, Xinfeng Investments, è riuscita ad acquisire una licenza al litio. La Commissione anticorruzione indipendente sta indagando sulle accuse secondo cui i funzionari del ministero delle Miniere e dell’energia (MME) hanno impropriamente facilitato l’acquisizione da parte di 50 milioni di dollari della Namibia (2,3 milioni di dollari) da parte di Xinfeng dei diritti di esplorazione e esportazione del litio vicino a Omaruru nel nord-ovest di Erongo.

Ad agosto all’azienda cinese è stata concessa una licenza mineraria fino al 2042 per metalli di base e gli addetti ai lavori affermano che i funzionari MME sono ampiamente sospettati di utilizzare i loro parenti e associati per richiedere diritti di esplorazione in aree con depositi minerari di alto valore, specialmente quando c’è interesse da parte di investitori cinesi e altri investitori stranieri.

Nel frattempo, Xinfeng ha attirato polemiche tentando presumibilmente di esportare grandi volumi di minerale di litio – tra 54.000 e 135.000 tonnellate – come “campioni di prova” in Cina senza test locali o elaborazione di prova.