n. 21 – Lo “strano” caso della protezione temporanea per i cittadini ucraini
Proseguiamo l’analisi delle conseguenze migratorie della guerra russo-ucraina, fornendo un panorama giurisprudenziale dei cavilli che regolamentano il massiccio afflusso di sfollati ucraini in Europa, e mettendo in evidenza attraverso le parole di Fabiana Triburgo quanto ancora una volta si riesumi una direttiva che prevede la protezione temporanea, e si offrano sempre soluzioni ad hoc che salvano il salvabile ma che dimostrano che ancora non vi è nelle coscienze delle istituzioni dell’Unione una visione lungimirante per affrontare la questione migratoria che è e sarà sempre una costante nella storia dell’umanità.
Afflusso massiccio di sfollati
L’attivazione di strumenti giuridici come conseguenza di dinamiche geopolitiche ha avuto la sua massima espressione con la decisione da parte dell’Unione europea e dei paesi membri di attivare la Direttiva n. 55 del 2001 a seguito dell’attacco sferrato su larga scala nel territorio ucraino da parte della Federazione Russa e dalla Bielorussia il 24 febbraio scorso. La direttiva stabilisce uno standard di norme minime nell’ipotesi in cui nel territorio europeo vi sia un afflusso massiccio di sfollati provenienti da paesi terzi che non possono tornare nel paese d’origine finalizzate alla concessione di una protezione temporanea per i medesimi (art. 1 e art. 2 lett. a direttiva 2001/55/CE) che gli stati membri sono chiamati obbligatoriamente ad attuare.
La prima applicazione della Direttiva 55
Ciò appare singolare, non certamente in quanto non si ritenga legittima l’attivazione della direttiva con riferimento alle specifiche circostanze del conflitto ucraino, ma piuttosto poiché è la prima volta in assoluto che tale norma viene applicata, nonostante sia stata ideata appositamente per la guerra nell’ex Jugoslavia – in particolare quella nel Kosovo – e nonostante, se vogliamo soffermarci solo all’ultimo ventennio, altri gravissimi conflitti armati hanno avuto come conseguenza un massiccio afflusso di sfollati che intendevano dirigersi verso l’Europa. A riguardo basti pensare ai cittadini provenienti dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Siria che nei primi due casi oltretutto fuggivano da conflitti pianificati dall’Occidente. In particolare, più recentemente nel caso dei cittadini afghani in relazione alla presa di possesso del paese da parte dei talebani, ormai quasi un anno fa, è fondamentale ricordare che la direttiva – in base all’art. 2 lett. d – è attivabile non solo qualora l’arrivo degli sfollati avvenga spontaneamente ma anche mediante programmi di evacuazione!
Ma per cittadini iraqeni, afghani e siriani solo respingimenti
Nei confronti degli individui provenienti da questi paesi terzi, l’Unione invece non ha mai ritenuto importante lanciare un messaggio a livello internazionale di solidarietà dei paesi membri in ambito migratorio, e – come visto, ripercorrendo le attuali correnti migratorie del vecchio continente – ha messo in atto respingimenti dei migranti, anche a catena da un paese all’altro dell’Unione, impedimenti fisici alla presentazione delle domande d’asilo, anche con l’uso della violenza, nonché finanziamenti per la costruzione di muri, di fili spinati e di campi di confinamento, per citare soltanto alcune delle cosiddette “cattive prassi” dell’esternalizzazione delle frontiere.
Possiamo dunque affermare con certezza che il conflitto in Ucraina abbia scosso talmente tanto la coscienza delle istituzioni europee e dei paesi membri da trovarci oggi in una nuova stagione della politica europea in ambito migratorio? O forse è più lecito pensare che la riesumazione di una direttiva risalente a 21 anni fa ci dice che quando vi sono ragioni squisitamente politiche per un timore, pur legittimo di una guerra prossima ai confini dell’Unione, si è disposti a tutto ma nulla di fatto oggi è davvero cambiato nelle politiche europee nei confronti dei migranti?
La musica non cambia: non è una nuova coscienza istituzionale europea
La speranza è chiaramente che sia la prima delle due ipotesi a rispondere a verità ma rispetto a ciò solo il tempo darà delle risposte chiare e definitive alle suddette questioni. Alcuni dubbi rispetto a un effettivo cambiamento dell’humus europeo tuttavia sorgono in ragione del fatto che la Direttiva 55 del 2001 non sia stata recepita in modo totalmente conforme al suo testo ma, sia nella Decisione del Consiglio dell’Unione Europeo (da non confondere con il Consiglio d’Europa) n. 382 del 4 marzo 2022 che ha “attivato” la direttiva – accertando l’esistenza di un massiccio afflusso di sfollati dall’Ucraina – sia per quanto riguarda l’Italia, nel Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (da ora in poi DPCM) del 28 marzo 2022, con il quale è stata recepita, sono state aggiunte delle ulteriori specifiche a livello giuridico che comprimono e non estendono le tutele derivanti dall’applicazione della protezione temporanea e il rilascio del relativo permesso di soggiorno, soprattutto con riferimento alle categorie dei potenziali destinatari, ossia cosiddetti “sfollati”.
Visegrad esclude gli altri cittadini di paesi terzi residenti in Ucraina
Infatti, i cittadini di paesi terzi dell’Unione, chiaramente diversi da quelli ucraini, – pur se residenti o soggiornanti anch’essi in Ucraina al momento dello scoppio del conflitto e fatte salve alcune rare ipotesi che analizzeremo in seguito – non possono chiedere e quindi beneficiare della protezione temporanea nel territorio di un paese membro. Quello che fa riflettere in modo più specifico – conformemente ai dubbi sovraesposti rispetto a un radicale ed effettivo cambiamento delle politiche dell’Unione e di tutti i suoi paesi membri in materia – è che l’esclusione degli altri cittadini di paesi terzi nell’alveo dei beneficiari della protezione temporanea, eccetto i casi eccezionali, sia stata posta da parte dei paesi appartenenti al gruppo di Visegrad, in particolare dalla Polonia, dall’Ungheria, dalla Slovacchia e dalla Repubblica Ceca come conditio sine qua non per l’approvazione della Decisione di esecuzione del Consiglio, che richiede la maggioranza qualificata (art. 5 Direttiva 55/2001/CE), necessaria per attivare la direttiva del 2001.
Questo d’altronde non stupisce, considerato che – ancor prima dell’entrata in vigore della decisione di esecuzione del Consiglio il 4 marzo 2022, soprattutto in Polonia, venivano fatti entrare milioni di ucraini ed escluse poche migliaia di altri cittadini di paesi terzi provenienti dall’Ucraina, attuando così una vera e propria discriminazione su base razziale. Non solo, la direttiva così come attivata e recepita in Italia non offre neanche una tutela, per così dire lungimirante rispetto alla condizione degli stessi cittadini ucraini, prevedendo sia la Decisione del Consiglio dell’Unione che il nostro DPCM che la direttiva possa essere applicata soltanto ai cittadini ucraini residenti e che vivevano fisicamente in Ucraina prima del 24 febbraio del 2022 ma fuggiti dopo il 24 febbraio del 2022 incluso.
Ragionando per assurdo quindi, un cittadino ucraino fuggito qualche giorno prima del 24 febbraio, magari intuendo l’imminenza del conflitto, in teoria non può oggi beneficiare della protezione temporanea!
L’inadeguatezza della Direttiva 55
Chiaramente invece la Direttiva 55 del 2001 – anche solo per il fatto di essere stata pensata in ragione di un altro conflitto e dati i suoi caratteri di generalità – non prevede né l’esclusione dei cittadini terzi di cui sopra né i limiti temporali così stringenti per la presentazione della richiesta della protezione temporanea. Per essere più precisi vengono oggi quindi esclusi dall’applicazione della direttiva: a) tutti i cittadini che il 24 febbraio vivevano fuori dall’Ucraina; b) i cittadini, come già accennato, che sono fuggiti prima del 24 febbraio del 2022 dall’Ucraina; c) tutti i cittadini di paesi terzi diversi dagli ucraini seppur viventi in Ucraina, alla data del 24 febbraio 2022 – per tornare al gioco forza antimigranti del gruppo di Visegrad – tranne nell’ipotesi in cui fossero già titolari di protezione internazionale o protezione equivalente ai sensi della legge ucraina o titolari di un permesso di soggiorno permanente prima del 24 febbraio 2022 e che solo qualora dimostrino di non poter ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio paese di origine!
Nel Decreto del Consiglio tuttavia al considerando n. 13 e all’art. 3 invece si specifica che tale ultima circostanza – in merito alla sicurezza e alla stabilità del paese di origine per i cittadini dei paesi terzi – può consentire agli stati membri di estendere tale protezione anche a coloro che si trovavano in Ucraina legalmente per un breve periodo quindi per esempio a quanti fossero titolari di un permesso per motivi di lavoro o di studio al momento degli eventi che hanno determinato l’afflusso massiccio di individui sfollati.
Il nostro DPCM però esclude tale ipotesi e per questo motivo i cittadini di paesi terzi, titolari di permesso di studio e lavoro – fuggiti dall’Ucraina in conseguenza del conflitto e anche qualora nel proprio paese d’origine non sussistano condizioni di stabilità e sicurezza – in Italia non possono vedersi riconoscere in Italia la protezione temporanea.
Sia il Decreto di esecuzione del Consiglio sia il DPCM del 28 marzo 2022 stabiliscono invece che possono beneficiare della protezione temporanea anche i familiari dei cittadini di nazionalità ucraina residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 e i familiari dei cittadini dei paesi terzi titolari di protezione internazionale o equivalente in Ucraina. In entrambi i testi normativi, all’art. 4 si elencano infatti le categorie di persone che possono essere considerati familiari, specificando la necessità tuttavia che anche questi soggiornassero in Ucraina già prima del 24 febbraio del 2022. Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri in aggiunta, stabilisce tra i requisiti che i succitati familiari debbano possedere la titolarità di un permesso di soggiorno valido ai sensi del diritto ucraino e il possesso di certificazione attestante il vincolo familiare preventivamente validata, ove possibile, dalla competente rappresentanza consolare. Inoltre, se la direttiva prevede che la durata del permesso di soggiorno per “protezione temporanea” sia di un anno prorogabile fino a due anni, il nostro DPCM all’art. 1, così come la Decisione di esecuzione del Consiglio, prevede che la protezione temporanea abbia la durata massima di un anno (per l’Italia a decorrere dal 4 marzo del 2022). Ancora, sempre secondo il DPCM, il permesso di soggiorno per protezione temporanea – la cui domanda deve essere presentata direttamente nella questura del luogo in cui lo sfollato è domiciliato – dà diritto all’accesso al Servizio Sanitario Nazionale, al diritto allo studio e al lavoro, conformemente a quanto stabilito dall’art. 12 della Direttiva 55/2001.
Non si dimentichi, comunque, che in Italia il 28 febbraio 2022 con una Delibera del Consiglio dei Ministri è stato dichiarato lo stato di emergenza in relazione all’esigenza di assicurare soccorso e assistenza alla popolazione ucraina sul territorio nazionale in conseguenza della grave crisi internazionale in atto.
Italia: stato di emergenza
Come noto, tradotto in termini giuridici, questo consente all’esecutivo di derogare alle consuete norme ordinarie e quindi all’attività parlamentare in merito alla questione migratoria in oggetto, delegando l’esecuzione delle proprie decisioni principalmente alla protezione civile.
A complicare ulteriormente il quadro normativo non solo europeo ma soprattutto interno, nel tentativo di armonizzare la disciplina relativa alla protezione temporanea, vi è il DLgs 85 del 2003 che di fatto aveva già previsto il recepimento della suddetta direttiva, introducendo l’art. 20 nel TUI (Testo Unico sull’Immigrazione) tuttora vigente che prevede anch’esso, in presenza di determinate circostanze, il riconoscimento di tale protezione.
Sotto invece il profilo normativo comune a tutti gli stati membri dell’Unione occorre specificare che
qualora il Consiglio – e questo vale per tutti i beneficiari della protezione temporanea – decidesse di revocare l’attivazione della direttiva, per esempio qualora l’Unione stringesse paradossalmente un accordo con il Capo del Cremlino, il diritto alla protezione temporanea cesserebbe immediatamente e con esso la validità del rispettivo titolo di soggiorno in qualsiasi paese membro dell’Unione.
E i russi in fuga non sono inclusi nella protezione temporanea
Prima di soffermarci sulla compatibilità tra la protezione temporanea e la protezione internazionale che è la protezione comunemente riconosciuta nelle ipotesi di conflitto armato, vale la pena riflettere anche su un’altra categoria di esclusi dalla possibilità di richiedere la protezione temporanea ossia i cittadini russi. Già, perché non sono pochi i cittadini russi che non identificandosi con la decisione del conflitto armato del proprio rappresentante di governo Vladimir Putin abbiano deciso di fuggire dalla Federazione Russa recandosi prevalentemente in paesi come l’Armenia o il Kirghizistan con i quali hanno una comunanza linguistica ma anche perché consapevoli che l’Europa non li considera potenzialmente beneficiari di una protezione temporanea nonostante anche loro siano fuggiti a causa del medesimo conflitto armato! Si ricorda che l’applicazione di un diritto di protezione debba però prescindere da una valutazione politica di uno stato verso un altro e guardare esclusivamente al singolo individuo e ai diritti che gli spettano in quanto tale e non alla nazionalità di sua provenienza se non – come nel caso della protezione internazionale – al fine dell’individuazione di uno dei motivi ai sensi della Convenzione di Ginevra, per il riconoscimento dello status di rifugiato. È proprio la convivenza dell’una e dell’altra disciplina – protezione internazionale e protezione temporanea – a creare tuttavia alcuni problemi giuridici in merito alla corretta applicazione del contenuto della Direttiva 55 del 2001.
Ascolta “Diaspora russa in Armenia” su Spreaker.
Decreti contraddittori
D’altronde le due protezioni sono inscindibilmente legate in ragione del fatto che la protezione temporanea è stata pensata proprio affinché l’afflusso massiccio di sfollati, in conseguenza di un conflitto non possa gravare eccessivamente sul sistema di asilo di ciascun stato membro. La direttiva stabilisce che la protezione temporanea non pregiudica il riconoscimento dello status di rifugiato ma che gli stati membri possano disporre che le persone che hanno ottenuto la protezione temporanea non possano avere al contempo lo status di richiedente asilo. Al riguardo il DPCM all’art. 3 pur stabilendo al comma 1 che il titolare di protezione temporanea possa sempre presentare domanda d’asilo, ai sensi del decreto legislativo n. 25 del 2008 (c.d. Decreto procedure), aggiunge al comma 3 del medesimo articolo – rispetto al testo della direttiva – che questa debba essere momentaneamente sospesa. Ciò significa che il richiedente, titolare della protezione temporanea, non verrà dunque ascoltato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e questa verrebbe riattivata (non si comprende ancora se in modo automatico o meno) in alcune ipotesi per esempio se il Consiglio dell’Unione decidesse di porre fine all’attivazione della protezione temporanea. Se invece uno “sfollato” ha già presentato domanda di protezione internazionale e successivamente presenta domanda di protezione temporanea – fintanto che non si veda rilasciare il relativo permesso – verosimilmente beneficerà dell’una o dell’altra forma di protezione a seconda di quale iter delle due domande si svolgerà in modo più celere.
Non è escluso pertanto che qualora la valutazione della domanda di protezione temporanea richieda più tempo del previsto, nel mentre “lo sfollato” possa essere convocato dalla Commissione territoriale e vedersi riconoscere quantomeno la protezione sussidiaria – poiché in fuga da un conflitto armato internazionale ai sensi dell’art. 14 del Dlgs 251/2007 (c.d. Decreto qualifiche) – se non addirittura lo status di rifugiato. Si ricorda che secondo l’art. 3 comma 4 del DPCM del 28 marzo 2022 il riconoscimento della protezione internazionale preclude l’accesso al beneficio della protezione temporanea. In particolare, al cittadino ucraino, oltre all’ipotesi del rifugiato sur place – ossia quella del cittadino di paese terzo già presente e soggiornante in Italia ad altro titolo al quale viene riconosciuto comunque il diritto di presentare domanda di protezione internazionale per ragioni sopravvenute – potrebbe essere riconosciuto lo status di rifugiato nell’ipotesi in cui sia un obiettore di coscienza rispetto al conflitto armato, un disertore della leva obbligatoria in ragione dei crimini compiuti nel corso del conflitto al quale avrebbe dovuto prendere parte, perché appartenente a minoranze etniche/nazionali – come potrebbe avvenire per i cittadini ucraini del Donbass – o nell’ipotesi in cui appartenga a una delle minoranze russofone in Ucraina. Infine, secondo un’interpretazione più estensiva, lo status potrebbe essere riconosciuto anche a tutti i cittadini ucraini in quanto più genericamente individui perseguitati in ragione della propria nazionalità.
L’asilo non richiesto
Si precisa in questa sede, senza entrare precipuamente nel merito, che i cittadini ucraini in particolari circostanze, potrebbero beneficiare, a determinate condizioni, altresì in Italia della “protezione speciale” erede della protezione umanitaria abrogata dal cosiddetto Decreto Salvini ossia il DL n. 113 del 2018 che ha subito una forte estensione con il cosiddetto Decreto Lamorgese, ossia il DL n. 130 del 21 ottobre 2020, convertito nella Legge n. 173 del 2020. È stato chiaro in ogni caso come fin dall’inizio i cittadini ucraini non volessero presentare domanda d’asilo principalmente per due ragioni: in particolare la prima, più facilmente intuibile, poiché qualora venisse loro riconosciuto lo status non potrebbero far ritorno nel proprio paese d’origine, l’altro più specifico è perché al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale dovrebbero lasciare il proprio passaporto in questura e questo non consentirebbe loro di andare a trovare i propri familiari ancora in Ucraina.
Si ricorda infatti che nel caso di presentazione della domanda di protezione temporanea il cittadino ucraino non solo mantiene il proprio passaporto ma ha il diritto di circolare liberamente nel territorio dell’Unione per un periodo massimo di 90 giorni come turista, ossia senza possibilità di lavorare ma anche di entrare e uscire nel territorio ucraino ai sensi dell’art. 6 comma 1 del DPCM al fine di prestare soccorso ai propri familiari.
Sempre con riferimento alla domanda d’asilo, in particolare in relazione all’applicazione del Regolamento Dublino che individua lo stato membro competente a trattare la domanda di protezione internazionale, è necessario sottolineare un’ulteriore differenza tra i cittadini ucraini che abbiano deciso di presentare domanda di protezione internazionale in conseguenza del conflitto armato, rispetto agli altri cittadini di paesi terzi che comunque sono fuggiti per la medesima ragione.
I cittadini ucraini infatti sono cittadini “esenti visto”, ciò vuol dire che per poter circolare nel territorio dell’Unione non hanno necessità di alcun visto di ingresso. Per tale ragione per il cittadino ucraino fuggito dal conflitto nel proprio paese di origine non è essenziale accertare che il paese nel quale abbia presentato domanda di protezione internazionale sia effettivamente il paese europeo di primo ingresso. Viceversa, gli altri cittadini terzi dell’Unione, diversi dagli ucraini, non sono esenti visto, ragione per la quale qualora presentino domanda di protezione internazionale, per esempio in Italia è necessario che dichiarino di non aver prima varcato il territorio di un altro paese europeo. Ciò chiaramente risulta altamente improbabile e quindi difficile da credere anche qualora al cittadino del Paese terzo non siano state prese le impronte in un paese o più paesi membri diversi da quello in cui è stata presentata la domanda di protezione internazionale. In conclusione, si può affermare che la protezione temporanea, almeno con riferimento alla sua applicazione in Italia, non ha rappresentato il simbolo del superamento di ancestrali recrudescenze rispetto all’ingresso di cittadini di paesi terzi ma ha avuto una particolare efficacia in ragione di alcune caratteristiche della migrazione ucraina. Sono gli stessi ucraini infatti ad aver superato qualsiasi questione in merito alla distribuzione solidale legata alla loro accoglienza nel territorio dell’Ue, essendosi collocati spontaneamente e autonomamente nel paese membro nel quale più agevole era la fuga o maggiore erano i contatti familiari e poiché hanno principalmente optato per un sistema di accoglienza privato presso amici e familiari e non per il sistema di accoglienza pubblico degli stranieri in Italia attraverso i Cas (Centri di accoglienza straordinari) o i Sai (centri per l’accoglienza e l’integrazione) i cui posti è bene ricordarlo sarebbero stati insufficienti ad accogliere tutti i profughi arrivati in conseguenza del conflitto.
Questo viene confermato dall’ordinanza n. 881 del 28 marzo del 2022 secondo la quale il capo della Protezione civile ha stabilito l’erogazione di un contributo una tantum per un massimo di tre mesi per i cittadini ucraini che abbiano optato per un’accoglienza presso privati.
È chiaro quindi che la protezione temporanea sia stata attivata in Europa, a seguito del conflitto ucraino, in ragione del fatto che non si sarebbe potuto procedere all’esame individuale della domanda di tutti i cittadini ucraini che avessero voluto presentare la protezione internazionale in ciascun stato membro e che gravissima è l’esclusione dei cittadini dei paesi terzi diversi dagli ucraini che sono scappati dall’Ucraina sempre per l’aggressione armata russa.
Ancora una volta la miopia europea
Tale visione è fortemente miope e si spera venga superata, se necessario a livello giurisprudenziale, considerando piuttosto l’effettivo radicamento nel territorio ucraino del cittadino del paese terzo a prescindere dal proprio titolo di soggiorno in Ucraina. Quello che si nota inevitabilmente ancora una volta, con la riesumazione di una direttiva che prevede la protezione temporanea, è che si offrono sempre soluzioni ad hoc che salvano il salvabile ma che dimostrano
che ancora non vi è nelle coscienze delle istituzioni dell’Unione una visione lungimirante per affrontare la questione migratoria che è e sarà sempre una costante nella storia dell’umanità.