La Colombia della “pace”
A 5 anni dagli Accordi di Pace fra il Governo Santos e la guerriglia storica delle Farc, il cammino per lasciarsi il conflitto alle spalle sembra ancora lungo e tortuoso, come il corso degli innumerevoli corsi d’acqua del Delta del Rio Danubio; il dipartimento del Cauca si affaccia sulla costa pacifica della Colombia, ma di pacifico c’è solo la certezza del conflitto tra narcos. Tullio Togni ci ha inviato questi scatti che illustrano nel suo racconto un paesaggio di difficile composizione del cinquantennale conflitto ufficialmente concluso 5 anni fa dal premio Nobel, il presidente Juan Manuel Santos.
Jefferson commenta lo sparo isolato appena sentito poco lontano, dice che sicuramente non si tratta di un’esecuzione: se il colpo fosse stato diretto al cranio, lo avremmo sentito più soffice e diffuso; attutito. Usa le mani per spiegare qualcosa che va oltre il senso dell’udito, ma per chi non ci è abituato questo rimane un concetto astratto; aleggia nell’aria.
Buenaventura, città portuale sulla costa pacifica colombiana, è un inferno a ritmo di salsa che a partire dalle sette di sera tace quasi del tutto: un coprifuoco informale proibisce ogni danza per le strade, nessuno osa togliere la scena alle bande locali che si spartiscono il controllo e il microtraffico; “los chotas” e “los espartanos” da un anno a questa parte si sono dichiarate guerra, ma rimangono parte della stessa struttura illegale detta “La Local”. Le principali occupazioni di quest’ultima sono il narcotraffico e l’estorsione, oltre a quella pratica terribile a cui la Colombia si è abituata nel corso degli anni di conflitto e che si definisce come “pulizia sociale”. La relazione storica è con le “Autodefensas Gaitanistas de Colombia – Agc”, anche dette “Clan del Golfo”, gruppo paramilitare presente a livello nazionale il cui massimo esponente, Dairo Antonio Úsuga David (alias Otoniel), è stato recentemente arrestato. Anche se molti pensano che si sia consegnato nel quadro di un accordo ben più ampio con il governo attuale; del resto, alle elezioni di maggio 2022 non manca molto tempo.
La riconfigurazione del conflitto
Se potesse scegliere, Jefferson non andrebbe mai a Buenaventura, rimarrebbe tutta la vita in uno dei numerosi villaggi di palafitte sparse che si estendono lungo i cosiddetti “Fiumi di Buenaventura”, rami d’acqua che dalla cordigliera occidentale attraversano la foresta del Chocó e del Valle del Cauca per poi sciogliersi nell’Oceano pacifico. Ma c’è una relazione stretta fra gli spari e la casa di legno lasciata vuota davanti alla quale è seduto: in tutta questa zona, la popolazione locale – principalmente afrocolombiana – vive sotto il fuoco incrociato dei gruppi armati presenti, in particolare le dissidenze delle Farc che non sono entrate nel Processo di Pace o vi si sono sottratte, l’Eln – Esercito di Liberazione Nazionale, i paramilitari delle Agc e lo stesso Esercito colombiano. È errato gettare tutto nello stesso calderone, ma nella confusione generale della riconfigurazione del conflitto nel post-Accordo, la stessa guerriglia ha perso la sua identità storica e varia molto a seconda della regione e del contesto in cui opera; nell’Occidente colombiano, punto d’incontro fra l’entroterra e il porto di Buenaventura da cui passa oltre il 60 per cento della merce del paese, quasi tutti i gruppi armati sembrano avere vocazione economica – la cocaina – più che ideologica, per cui anche se nella maggior parte dei casi l’esercito e le Agc si alleano informalmente per combattere la guerriglia, non è raro assistere a scontri armati fra le Farc e l’Eln.
La riconfigurazione del territorio
Nel conglomerato di villaggi in cui vive Jefferson detta legge la Colonna Mobile Jaime Martinez, dissidenza delle Farc-Ep riunita nel “Comando Coordinador de Occidente”; lo dimostrano i cartelloni che si affacciano sul fiume o la stessa delegazione armata che si presenta: ragazzi sui vent’anni vestiti in civile se non fosse per il giubbotto verde militare, le armi e le munizioni al collo. Ma il controllo territoriale va oltre i fucili e gli spari: è fatto di ordini e restrizioni con mine antiuomo ai margini dei villaggi per limitare la mobilità della popolazione civile e le incursioni dei gruppi armati rivali, è il reclutamento forzato e le isolate esecuzioni extragiudiziali. È quanto successo alla fine di ottobre nel villaggio accanto, quando un membro del consiglio comunitario è stato assassinato perché sospettato di essere un informatore dell’esercito colombiano, dopo che i media avevano strumentalizzato alcune sue dichiarazioni rispetto al conflitto armato nella regione e lo avevano di fatto esposto a un alto rischio. È lo sparo attutito a cui si riferisce Jefferson, è la complessità del vivere in un contesto intricato e precario, in cui chi oggi è costretto a offrire un pranzo a un gruppo armato, domani viene ucciso dall’altro per aver collaborato con il nemico, oppure è perseguito dalla magistratura per aver dialogato con attori illegali presenti nel territorio. Lo stato in tutto questo si limita alla presenza militare, con incursioni frequenti, scontri armati ad alto impatto simbolico e ulteriori danni per le popolazioni locali. Queste ultime, organizzate nei consigli comunitari, denunciano la stessa convivenza fra stato e gruppi armati, chiedono che si rispetti la Legge 70 del 1993 che riconosce le comunità afrocolombiane come gruppo etnico con diritti sul territorio e autonomia di governo, rivendicano garanzie di sicurezza, educazione e sanità in tutta la zona della “Buenaventura rurale”: a proposito, nessun piano di vaccinazione per il Covid è stato ancora previsto qui. Alla guerriglia e in particolare alle dissidenze delle Farc, invece, chiedono semplicemente coerenza. In generale, per come si vive oggi, dicono che si stava meglio prima.
Gli accordi di pace
A 5 anni dalla convulsa firma degli Accordi di Pace del 2016 fra il governo Santos (2010-2018) e le Farc, la Colombia vive una situazione paradossale a cui i numeri fanno da cornice: 299 ex guerriglieri e 1270 leader sociali assassinati, 500 organizzazioni della società civile vittime di minacce, 250.000 persone costrette all’esodo forzato. Numeri importanti che evidenziano una tragica realtà.
La terra rimane a tutti gli effetti il motore del conflitto, lo stato non si è impegnato a restituirla né a redistribuirla, ha abbandonato molti territori precedentemente controllati dalle Farc dando il via libera all’entrata di nuovi gruppi armati. Quando ha investito, lo ha fatto per generare monocolture per l’esportazione o piani di esplorazione per soddisfare gli interessi di multinazionali straniere anziché quelli delle comunità indigene e contadine che più di tutti hanno sofferto. E quanto alla difesa dell’ambiente, benché nella recente Cop26 il presidente Duque abbia dichiarato di essere disposto a difendere gli ecosistemi del paese, solo nel 2020 sono stati registrati oltre 65 omicidi contro attivisti ambientalisti. Per non parlare del processo di sostituzione delle coltivazioni illegali a suon di glifosato e di assenza di alternative valide alla coca.
Le poche prospettive per la popolazione smobilitata e gli omicidi di ex guerriglieri e attivisti sociali, sono l’altro grande cruccio del bilancio a 5 anni dagli Accordi di Pace, poiché dimostrano che lo spazio per le nuove lotte sociali e l’esercizio delle attività politiche e pubbliche, continuano a costare vite umane. A ciò si aggiunge l’altissimo livello di impunità per chi commette questi crimini e chi li ordina, un fenomeno messo in relazione con la corruzione della classe politica e gli attacchi della destra uribista al sistema di giustizia transizionale (Jep) nato nel 2016.
La Colombia oggi
Oltre a Cali, epicentro del “Paro Nacional”, Buenaventura è destinazione obbligata e recipiente delle popolazioni sfollate di tutta la regione del Pacifico colombiano. Lo scorso agosto è occorso a 1600 persone della zona del “Litoral San Juan”, vittime dei bombardamenti dell’esercito colombiano contro l’Eln, mentre negli ultimi giorni è toccato ad altre centinaia di persone appartenenti alle comunità indigene e afrocolombiane dei “Fiumi di Buenaventura”. Una volta in città, la loro prospettiva è quella di cercare di sopravvivere in un modo o nell’altro nei quartieri popolari, alla mercé delle bande locali e di quel ciclo di violenza che sembra non finire mai.
Da qualche parte a Buenaventura si nasconde anche Santiago, giovanissimo coordinatore delle brigate mediche a Cali che durante i mesi del “Paro Nacional” offrivano i primi ausili ai manifestanti vittime della violenza della polizia. Come successo a molti altri, una volta ristabilitosi l’“ordine sociale” gli sono cominciate a piovere addosso minacce di morte da parte di gruppi non identificati; la pressione su di lui è cresciuta al punto tale che, credendosi perduto, ha voluto farla finita. Ma oggi è ancora vivo, nascosto e protetto da una piccola cerchia di persone di fiducia. Lo stesso, purtroppo, non si può dire di suo fratello: vittima della vendetta trasversale, 10 giorni fa è stato fatto sparire.
La Colombia del post-Accordo fra Governo e Farc non ha raggiunto una reale fase postbellica; quest’ultima si è semplicemente adattata e rimodellata al presente, forse a causa di alcune debolezze strutturali come la non messa in questione del sistema economico e di “sicurezza nazionale”, oppure il fatto che a vederlo ora, l’accordo appare come un’intesa esclusiva fra le alte sfere di due mondi opposti che hanno commesso lo stesso errore: dimenticarsi delle loro basi.
A circa sei mesi dalle elezioni presidenziali di maggio 2022, è difficile immaginare quale sarà il destino della pace in Colombia.