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Esportare il razzismo trasformando l’Africa in hotspot

Il Fmi ha sospeso i nuovi prestiti alla Tunisia per razzismo! Le persone in movimento dal mondo subsahariano sono state mostrizzate dal presidente tunisino, che cinicamente e in ossequio a sudditanze verso l’Europa ha esagerato a seguire i sovranismi più estremi che hanno voluto estendere sulla costa sud del Mediterraneo la dottrina della sostituzione etnica… E infatti Kaïs Saïed ha ordinato “misure urgenti” per salvaguardare l’identità araba. Persino un organismo che valuta solo il profitto ha fatto questa scelta; difficile che Fmi lo abbia fatto per spirito umanitario, probabilmente ha valutato che la situazione già precaria dell’economia tunisina (10,5% di inflazione, disoccupazione ufficialmente al 15%) raggiunga un livello di pericolo grave per la stabilità e quindi per l’equilibrio finanziario. Non è che sia rassicurante. Come non lo è la ventriloqua Meloni, che continua a ripetere che non si deve dire che i suoi sgherri governativi hanno appositamente atteso la strage per inventarsi nuovi reati e soluzioni repressive al fenomeno migratorio: se lo ripete così tanto è perché è stato davvero atteso, programmato e perseguito l’affondamento appositamente (perciò si configura come Strage di stato); anche le mosse di Rishi Sunak sono riconducibili alla stessa scuola razzista per eseguire Deportazioni di stato verso paesi terzi lontanissimi (Ruanda) o vicinissimi (alla Francia ha subappaltato i flussi migratori tra i flutti della Manica!), comunque prezzolati – come Erdoğan –, trasformandoli in enormi hotspot per cittadini di tutto il mondo (viste le origini afro-punjabi dell’inquilino di Downing Street non stupisce che un africano pallido utilizzi la xenofobia verso gli africani più scuri); allo stesso modo Saïed ha giocato su un razzismo latente per far scaturire l’araba intolleranza antiafricana (e questo è Pogrom di stato).

Intanto le persone che da anni lavoravano – perlopiù in nero – nel paese maghrebino sono costretti a fuggire: è in atto un pogrom con incendi di case, botte, accoltellamenti, aggressioni persino degli studenti che si stanno recando all’università. Ma non possono nemmeno tornare ai loro paesi, perché lo scherno del regime autocratico richiede una multa di 20 dinari per ogni giorno trascorso in territorio tunisino da clandestini. Allora di nuovo è questa parolina a fare la differenza, da un lato e dall’altro del mare: irregolari. Questa cultura assimila i poteri reazionari che si accordano tra loro per idrocarburi, contenimento di migrazioni utili per sfruttare i pochi lavoratori che riescono a passare il setaccio degli autocrati maghrebini. Ivoriani, camerunesi, guineiani… sono bloccati, come chiede il governo italiano: alla gran parte dei subsahariani che lavorano in Tunisia, nessuno gli ha proposto un contratto, clausola necessaria per avviare il lungo e tortuoso iter dell’ottenimento di un regolare permesso di soggiorno nel paese (come si legge su “Orientxxi”). Una volta scaduti i tre mesi del visto turistico. Saïed subdolamente ha solleticato quel razzismo che nutre la società tunisina – o algerina, come suggerisce Karim Metref nel podcast, ma che subito indica altrettanto razzismo tra i fratelli africani provenienti dai paesi a sud del Sahara. Il risultato ci viene raccontato da Ariana Poletti da Tunisi nel dialogo proposto in questo Spreaker: da un lato la messe di manifestazioni indignate molto partecipate dalla società civile del paese costituito da 12 milioni, dall’altro l’incancrenirsi dell’intolleranza contro 50.000 immigrati reali, percepiti (e contati dal presidente) come 700.000. Le parole del presidente sono difese dal suo ministro dell’Interno Tawfiq Sharafuddine: «Giornalisti mercenari, imprenditori, sindacalisti e politici hanno venduto la nazione. Si sono alleati contro il popolo… sono dei traditori».

«Se una parte della popolazione sostiene la crociata antisubsahariana di Kaïs Saïed, un’altra parte la combatte. Se Saïed ha sempre vomitato le élite, definendole nel migliore dei casi “corrotte”, “scarafaggi”, “Satana”, questa è la prima volta dalla sua elezione che i grandi capi (tra cui alcune grandi famiglie che possiedono l’economia) hanno mostrato un garbato disaccordo. Conect (una confederazione di imprese guidata da Tarek Chérif, il principale esportatore del Paese) insiste sul ruolo delle “università aperte a decine di migliaia di studenti africani”» (“Le Point“).

L’Europa ha trasformato la Tunisia in un gigantesco Cpr, un hub in cui concentrare e respingere persone spinte a mettersi in movimento… dal colonialismo extracontinentale, altrettanto razzista di Saïed, che per questo si intende benissimo con qualunque Meloni vada a imbeccarlo. D’altronde tutti i governi usano le medesime strategie per mantenere il potere e il tribunale di Algeri ha condannato all’ergastolo Farhat Mhenni, presidente del Mac (Movimento per l’autodeterminazione della Cabilia) per «aver minato l’unità del territorio nazionale, attentato alla sicurezza dello Stato, nonché di aver creato e diretto un movimento separatista con le intenzioni di agire con metodi terroristici», anche se non si registrano azioni armate dalla organizzazione di emancipazione degli amazigh, di cui Karim ha accennato in questa trasmissione di Radio Blackout:

“Tutto il Maghreb sta filando cattivo cotone”.

Il 6 marzo la Tunisia ha affrontato il Senegal su un campo di calcio. In molte occasioni, i giocatori senegalesi hanno puntato il dito sul colore della loro pelle nera in segno di orgoglio e di sfida nei confronti dei tunisini.