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Il punto d’arrivo di OGzero, l’elaborazione dei punctum e degli studium che dà vita a un vero e proprio progetto editoriale con materiali inediti. Qui tutti i progetti in corso e quelli già pubblicati. Acquistateli, aiutandoci così a capire che quello che vi raccontiamo vi interessa!
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Turchia e Qatar
Doha non gode dei vantaggi geopolitici di Ankara ed è ancora ricattabile economicamente: entrambi sanno che insieme possono combinare qualcosa in termini regionali, ma da soli sono deboli. il rapporto tra Qatar e Turchia è quello più solido nel Mena: Ankara quasi con tutti ha rotto i legami in certi periodi ma con Doha quasi mai
(Murat Cinar, settembre 2024)
… e che il terzetto si sposti da Astana a Doha è significativo su quale dei tre ha in questo momento le carte migliori, perché non è impegnato in conflitti diversi da quello siriano, come invece Teheran e Mosca.
Ritorno a Doha
OGzero ha cominciato a preoccuparsi del Mena proprio da Astana (un dossier iniziato nel 2019 e non concluso con il volume curato da Antonella De Biasi) nel momento in cui il terzetto di potenze locali cercava un accordo per spartirsi il controllo su Mesopotamia e Mediterraneo orientale nel disinteresse del Trump_01. L’accordo sul mantenimento della mezzaluna sciita che consentiva all’Iran di coordinare forze che andavano dal Libano di Hezbollah all’Iraq, fino agli Houthi yemeniti, permeando il territorio con milizie tollerate dal regime alauita di Assad – sanguinario come gli altri limitrofi – miracolato dagli interessi russi in cambio delle basi navali di Tartus e Hmaimim sul Mediterraneo. Alla Turchia era sufficiente occupare una striscia infarcita di jihadisti sunniti per infastidire il Rojava curdo e mantenere truppe di tagliagole a Idlib per preparare una rivincita al momento opportuno. E questo si è presentato quando Assad non ha capito che l’accordo offerto da Ankara non era trattabile, perché forse non si era reso conto che il suo potere si era ormai disciolto, come il suo esercito una volta fedele, e gli impegni dei protettori non consentivano a Hezbollah, pasdaran ed esercito russo di sostenerlo. E infatti quel quadro si è infranto e ci troviamo di fronte alla ineluttabile fine di un conflitto iniziato quasi 14 anni fa, migliaia di morti, metà dei cittadini siriani ridotti a profughi in miseria, proprio come la parabola riservata al ricco stato libico fino al 2011 dagli stessi che banchettano sulle spoglie dello stato siriano, il cui repentino epilogo è stato innescato dal vuoto creato attorno alla vacua debolezza del regime di Damasco.
Forse non c’è combutta con Tel Aviv, ma il cinico sfruttamento turco dello sconquasso creato dal genocidio di Gaza e l’estensione del conflitto al Libano da parte dell’Idf sono una ghiotta occasione per mettere in atto il piano a lungo accarezzato da Erdogan di estendere i propri territori, preparare lo scarico di profughi in territorio siriano (sempre meglio dei pogrom a cui sono sottoposti), allontanare e minare l’esempio del confederalismo democratico del Sdf.
E siamo di nuovo a Doha, ma il quadro siriano più che l’Afghanistan rievoca la caduta di Gheddafi e lo spezzatino libico: con la Cirenaica in mano ai russi, la Tripolitania turca e il Fezzan controllato da clan locali jihadisti; come il Sud della Siria intorno a Daraa insorta attorno a parole d’ordine locali, mentre il confine nord-occidentale in mano a Erdogan fino a Hims, il Nord-est per ora ancora curdo e le provincie orientali ancora sciite per mantenere i passaggi utili all’Iran per foraggiare le milizie fino al Mediterraneo, dove rimangono i porti militari nella disposizione di Putin. Un piano che vede coinvolte tutte le cancellerie mondiali per distruggere entità statali che negli anni Settanta avevano costituito un blocco arabo non particolarmente unito, ma con interessi comuni che collidevano con quelli israelo-statunitensi; non siamo ovviamente dispiaciuti di questa dissoluzione di regimi feroci,riconducibili alla dottrina del partito Baath, sicuramente molti dei realizzatori di questa rivoluzione mediorientale sono peggiori degli aguzzini, ma alcune forze (curdi e provincie del Sud, che furono i primi a Daraa a sfidare Bashar) vedono in questa frammentazione del territorio siriano una opportunità di liberazione.
“Qual è la attuale definizione di "siriano"?”.
Lo spezzatino siriano è più feroce di quello libico
Il risultato sembra continuare a compiere il piano globale israelo-statunitense più che cinquantennale sulla bantustizzazione del Medio Oriente, dissolvendo i paesi sorti dopo Sykes-Picot, imponendo come uniche potenze regionali Israele (e il suo sogno sionista, non avversato dagli altri protagonisti dal 7 ottobre in avanti, forse proprio per partecipare del banchetto con lo spezzatino siriano), la Turchia (e le sue infiltrazioni e alleanze) e l’Arabia saudita (con i suoi satelliti); oltre ovviamente allo sguardo accondiscendente di Putin per il suo tornaconto (che non comprende più Assad).
La Libia dapprima, poi la crisi libanese, l’Iraq già ridotto alla miseria dalle guerre dei Bush e poi dalle tensioni interne e dallo sfruttamento persiano, la Siria distrutta da una guerra per procura innestata sulla volontà di cancellare un centro di potere alternativo e ostile all’asse israelo-americano… certo: per quanto lo sforzo bellico sia portato da jihadisti tagliagole al soldo di Erdogan, altre speranze di liberazione muovono milizie siriane diverse, alleate solo nella volontà di disfarsi dell’autocrate e questo non può che essere colto come un’occasione per i siriani. Peccato però che gli interessi stranieri siano superiori e più potenti dell’afflato ribelle contro ciò che rappresenta il regime della dinastia alauita militare degli Assad da 53 anni a questa parte.
Le forze di sicurezza e le truppe speciali, guidate dal fratello del dittatore, Maher, sono le vere responsabili delle peggiori sevizie contro gli oppositori o supposti tali. Dal carcere di Aleppo è stato liberato un cittadino libanese di 60 anni che è stato imprigionato 40 anni fa dopo il suo arresto in Libano durante l’occupazione siriana, senza sapere che colpe abbia avuto. L’apertura delle infami prigioni degli Assad è la reale buona notizia, ma non è il risultato geopolitico preparato per decenni e scattato in una settimana di droni e carri armati turchi.