Etiopia: crimini di guerra, un inciampo per una pace compiuta

Angelo Ferrari
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Il Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) non è più una “formazione” terroristica e il governo di Addis Abeba ha nominato un anziano capo ribelle alla guida della regione del Nord dell’Etiopia, il Tigray. Una svolta conseguenza degli accordi di pace che hanno messo fine a una guerra fratricida. Ma rimangono sul tavolo questioni molto importanti come la violazione dei diritti umani e le responsabilità per i crimini di guerra.

In una recente visita nella capitale etiope del segretario di stato americano Antony Blinken, il nodo è stato messo sul tavolo con il disappunto sia dell’Etiopia sia dell’Eritrea, che ha combattuto a fianco di Addis Abeba in questa guerra.

Tplf, non più terroristi

Le decisioni del governo di Addis Abeba, comunque, segnano passi importanti verso l’attuazione dell’accordo di pace che il movimento ribelle ha firmato con il governo etiope lo scorso novembre a Pretoria in Sudafrica. «Il primo ministro Abiy Ahmed ha nominato Getachew Reda presidente ad interim dell’amministrazione regionale del Tigray», ha fatto sapere l’ufficio del primo ministro attraverso Twitter. Gatechew Reda, consigliere del leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, era in precedenza il portavoce del movimento. Il dato importante, tuttavia, è la cancellazione del Tplf dalla lista delle formazioni terroristiche, decisione che ha aperto la strada all’istituzione di un’amministrazione ad interim nel Tigray a guida Tplf, come previsto dall’accordo di pace. I tigrini, pur essendo un’etnia minoritaria in Etiopia, hanno governato il paese per tre decenni prima di essere gradualmente emarginati proprio dall’arrivo alla guida del paese dal primo ministro Abiy Ahmed nel 2018. Un fatto mal digerito dal Tplf che è stato inserito nella lista delle formazioni terroristiche dalle autorità etiopi il 6 maggio 2021 a seguito del conflitto armato, iniziato nel novembre del 2020 e terminato oggi con un accordo di pace scaturito dai colloqui di Pretoria. La rimozione dalla “lista nera” del Tplf era la precondizione per l’attuazione degli accordi di pace.
La firma dell’accordo, inoltre, ha consentito di ripristinare i servizi di base – elettricità, telecomunicazioni, banche – ed è stato riaperto l’accesso alla regione, fondamentale per far arrivare gli aiuti a una regione devastata dalla guerra e che ha bisogno di tutto.

 

Sul tavolo rimane da risolvere la violazione dei diritti umani e dei crimini di guerra

Un nodo non da poco per il governo di Addis Abeba. Il segretario di stato americano, Blinken, di ritorno dal suo viaggio in Etiopia, ha accusato tutti i belligeranti – forze filogovernative e ribelli – di aver commesso crimini di guerra, considerando che questi atti non sono stati né «casuali» né «una conseguenza indiretta della guerra» ma «erano calcolati e deliberati». Blinken ha accusato, in particolare, l’esercito federale etiope e i suoi alleati – esercito eritreo e forze e milizie della regione Amhara – di crimini contro l’umanità, tra cui «assassini, stupri e altre forme di violenza sessuale e persecuzione». Accuse molto pesanti – Blinken non ha mai nominato il Tplf – che hanno provocato l’immediata reazione del ministero degli Esteri etiope: «Il governo dell’Etiopia non accetta le condanne generali contenute in questa dichiarazione americana e denuncia un approccio unilaterale e antagonista». La dichiarazione Usa, prosegue il ministero, «è selettiva perché distribuisce le responsabilità in modo iniquo tra le parti. Senza motivo apparente», gli Stati Uniti «sembrano esonerare una delle parti da alcune accuse di violazione dei diritti umani, come lo stupro o la violenza sessuale nonostante le chiare e schiaccianti prove della sua colpevolezza», ha proseguito il ministero, riferendosi alle forze delle autorità ribelli nel Tigray.

EtiopiaIl Tplf e Asmara

Il governo dell’Eritrea, un paese isolato a livello internazionale e governato con il pugno di ferro sin dalla sua indipendenza de facto nel 1991 da Issaias Afeworki, ha ritenuto che queste accuse «non nuove», non siano basate «su alcuna prova fattuale e incontrovertibile» e riflette la continua «ostilità e demonizzazione ingiustificate» di Washington nei confronti di Asmara. Il Tplf è stato il nemico giurato di Asmara sin dalla guerra tra Etiopia ed Eritrea tra il 1998 e il 2000, quando il Tplf governava ad Addis Abeba. Il primo ministro Abiy Ahmed ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2019 per aver posto fine a 20 anni di guerra aperta o nascosta con l’Eritrea. Ma dopo il conflitto nel Tigray, è passato agli occhi di Washington dallo status di simbolo di una nuova generazione di leader africani moderni a quello di un quasi paria.

Washington influenza l’accordo di pace

L’accordo di pace, firmato il 2 novembre 2022 a Pretoria, ha posto fine al brutale conflitto nel Tigray, ma Asmara non ha partecipato alle discussioni e non è firmataria. La pace è stata negoziata e firmata sotto l’egida dell’Unione Africana, ma nelle trattative, rilevano gli analisti, vi è stata una significativa e cruciale influenza di Washington.
Secondo Addis Abeba le accuse di Washington rivelano una «ingiustificata distribuzione delle responsabilità» che «mina il sostegno degli Stati Uniti a un processo di pace inclusivo in Etiopia» e una «dichiarazione incendiaria» suscettibile di «sollevare le comunità le une contro le altre» in Etiopia. Visitando l’Etiopia il 15 marzo sorso, Blinken ha collegato la ripresa della collaborazione economica con Addis Abeba – interrotta dall’inizio del conflitto nel Tigray – alla «riconciliazione e alla presa di responsabilità» nelle atrocità che vi sono state commesse.

Le relazioni tra Washington e Addis Abeba sono state sempre “privilegiate” in funzione anche della stabilità della regione del Corno d’Africa e quindi arrivare a definire le responsabilità dei crimini di guerra è un passaggio cruciale per la ripresa, a pieno regime, dei rapporti tra le due capitali. Ma non solo, per impedire che anche in Etiopia, così come avvenuto in Eritrea, attecchisca l’influenza russa.

L’Etiopia, dopo aver espresso lo sdegno per le accuse americane, ha assicurato che «continuerà a mettere in atto tutte le misure volte a tenere conto dei responsabili e garantire che sia fatta giustizia per tutte le vittime». Il bilancio esatto delle vittime della guerra è difficile da fare – negli anni è stato impedito a istituzioni terze e indipendenti di entrare nella regione del Tigray – ma gli Stati Uniti stimano che circa 500.000 persone siano morte durante il conflitto.