Nazionalismo petrolifero e dubaizzazione

Kamal Chomani
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Fino al 2005 il nazionalismo curdo traeva fonte d’ispirazione dall’obiettivo di ottenere i propri diritti democratici e l’autodeterminazione in Iraq, ma – dalla scoperta di petrolio e gas, stipulando contratti con le maggiori compagnie petrolifere del mondo ed esportando sui mercati internazionali di idrocarburi – il nazionalismo curdo si colorò di nazionalismo petrolifero e i due partiti al potere cercarono di trarne vantaggio in due modi. Innanzitutto usarono le risorse, in particolare il petrolio, per rafforzare la presa sul potere monopolizzando l’intera filiera, dai sondaggi all’esportazione: per dividersi i proventi le famiglie Talabani e Barzani cercarono di comprare il silenzio della nazione in cambio della conversione della Kri in una nuova Dubai e introdussero un sistema di rendite e un capitalismo clientelare, resuscitando quegli elementi di tribalismo che stavano declinando già dal 2003; in secondo luogo la Krg si avvalse del petrolio per attirare compagnie internazionali, in particolare da Europa e Usa con la speranza di proteggere se stessa: Barzani a seguito di un contratto firmato con la Exxon Mobil disse in un discorso tenuto agli studiosi islamici che il «Ceo della Exxon Mobil è più potente del presidente degli Stati Uniti». La Krg cominciò una campagna internazionale all’insegna dell’“Altro Iraq”, esibendo la Kri come una sorta di paradiso nel mezzo della crisi irachena e dipingendolo come un modello di democrazia e di economia in espansione tra i regimi autoritari mediorientali. È proprio lì che i due partiti al potere, e in particolare il Kdp, hanno abbandonato la propaganda nazionalista volta a conseguire i diritti dei curdi per concentrarsi maggiormente sulla ricchezza delle risorse naturali della Federazione, che devono essere sfruttate dai curdi stessi e non dal governo centrale di Baghdad. Le promesse del nazionalismo curdo di democrazia e di libertà si tramutarono in promesse di dubaizzazione della Federazione. Il modello a cui guardava il Kdp non era un modello democratico, ma accarezzava l’idea di una monarchia in cui è in corso un boom economico senza democrazia.

Il governo regionale ha elevato il Pil e il livello di vita, stando ai dati del Dipartimento per la pianificazione; lo sviluppo economico in corso sarebbe indicato dall’incremento diversificato dei prodotti locali nella maggioranza dei settori. Dal quinquennio 2003-2008 le entrate nazionali si accrebbero da 4373 miliardi di dinari iracheni (circa 3 miliardi di euro) a 30 224 miliardi di dinari (22 miliardi di euro), un tasso medio di crescita del 38,3 per cento. Nello stesso periodo il Pil aumentò da 2419 miliardi di dinari (17 miliardi di euro) a 20 954 (150 miliardi), con una performance del 61 per cento tra il 2004 e il 2008. Il Pil pro capite salì da 0,524 milioni di dinari (380 euro) a 4,740 (3400 euro).

La vantaggiosa legge su petrolio e gas 

Contro ogni previsione, le maggiori compagnie petrolifere siglarono contratti con la Krg dopo che il Governo regionale varò la legge 28 del 2007 su petrolio e gas, molto più vantaggiosa per la Krg al confronto di quella nazionale: trasferiva infatti i contratti di fornitura dell’Iraq in base ad accordi per appalti che prevedevano la condivisione della produzione, il che significa che non solo si sarebbero pagati i diritti di prospezione ed estrazione, ma si sarebbero spartiti i guadagni, diversamente dai soliti modelli contrattuali iracheni. La legge divenne uno dei maggiori motivi di disputa tra il Governo regionale e quello federale quando la Exxon Mobil firmò nell’ottobre del 2011 contratti per sei blocchi che coprivano 3 miliardi e mezzo di metri quadri (848 000 acri) della Federazione regionale.

La legge 28 e gli affari del Kdp con la Turchia di Erdoğan 

Non avendo sbocco al mare, la Krg cercò di corteggiare la Turchia per raggiungere i mercati internazionali. E il vicino affamato di petrolio e gas che lamentava da anni la perdita del distretto di Mosul – sotto la direzione di Erdoğan e dell’Akp – accolse con favore l’offerta proveniente nello specifico dal Kdp e i rapporti tra le due entità regionali raggiunsero l’apice; gli esponenti della famiglia Barzani visitarono regolarmente la Turchia, e a Erbil i leader turchi nel marzo 2011 assistettero all’inaugurazione dell’aeroporto internazionale realizzato dalle compagnie turche. Era presente Erdoğan stesso, il primo premier turco a visitare la Kri.

All’inizio dell’invasione dell’Iraq nel 2003 il governo turco aveva definito Barzani un capo tribale e persino minacciato di occupare la Kri. Ad ogni modo gli accordi energetici normalizzarono la situazione, soprattutto dopo quello cinquantennale del 2009 tra i due governi, i cui dettagli non sono mai stati resi pubblici. Il sogno dell’Akp turco di far rinascere il controllo ottomano sulla regione richiedeva un’economia più forte e una strada sicura verso il Golfo Persico. Ma la Krg poteva essere il suo affiliato: circa mille compagnie turche e 30 000 cittadini turchi stavano lavorando all’interno della Kri nel 2011 e gli investimenti e il commercio turco nella Federazione regionale avevano raggiunto i 10 miliardi di dollari. In seguito alla crisi finanziaria e alla guerra al Califfato gli investimenti e gli scambi diminuirono in larga misura; a quel tempo la realtà era che la Turchia non possedeva (non ancora) abbastanza gas e petrolio per soddisfare le proprie esigenze, nonostante Russia e Iran l’avessero approvvigionata, la crisi siriana aveva deteriorato i rapporti tra i turchi e le due potenze regionali e l’Iran era sottoposta a sanzioni, creando difficoltà ad Ankara. Ma la Turchia sembrava essersi guadagnata l’accesso a una maggior quantità di gas a un costo molto minore – dalla Krg. Come è stato successivamente rivelato da alcune fonti, la Turchia aveva ottenuto dalla Krg il gas a metà del prezzo imposto da Russia e Iran.

L’evoluzione nella cooperazione energetica tra Kri e Turchia era interpretata da molti come una via per l’indipendenza della Kri, un sogno curdo lungamente procrastinato; comunque, mettendo tutte le uova nel solo paniere turco alla fine si è creata una dipendenza della Krg dalla Turchia o, come ritenuto da molti, una colonia turca nascente che ha reso la Krg precariamente esposta a ogni slittamento della posizione turca riguardo al Kurdistan: se ne ebbe un esempio nel settembre 2017, quando la Turchia si oppose fermamente al referendum nella Kri sull’indipendenza. Quanto più la Krg faceva prospezioni ed esportava petrolio, tanto più dilagava la corruzione e, invece di diversificare la propria economia, sopprimeva tutti gli altri settori, soprattutto quello agricolo, di cui nelle loro fattorie per secoli i curdi avevano vissuto, provocando così dal 2003 in poi un esodo dai villaggi facilitato da Kdp e Puk che per comprare il consenso elargivano assunzioni nell’esercito o nel governo.

L’abbraccio mortale del nuovo Sultano e la Dinasty curda 

Le politiche petrolifere della Krg non sono state solo una disgrazia per gli abitanti della Regione del Kurdistan iracheno, ma anche per le genti turche, e in particolare per i curdi che vivono in Turchia, dato che Erdoğan ha rafforzato il suo dominio mantenendo il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) al potere grazie ai soldi facili confluiti nelle sue tasche, in quelle della sua famiglia e del partito provenienti dagli accordi petroliferi altamente lucrativi promossi dalla Krg. 

Da quando le relazioni tra Kdp e Akp registrarono un’accelerazione negli accordi petroliferi, in particolare dopo le concessioni del 2011 e poi con il contratto per la fornitura cinquantennale di petrolio e gas del 2013, il Kdp, i suoi media e il greggio del Governo regionale sono stati del tutto asserviti all’agenda di Erdoğan e alle sue politiche.

Erdoğan e l’Akp hanno agevolmente approfittato della fragilità interna del Kdp e di Barzani, dell’opposizione regionale e nazionale irachena al Kdp e alle sue politiche, e della rivalità del Kdp con il Puk, i partiti di opposizione, in particolare con il Pkk, e infine con il Rojava, di cui si è detto nel capitolo sulla Siria. Il Kdp non sarebbe stato in grado di mantenere il proprio potere se Erdoğan non l’avesse sostenuto. 

Senza sbocco al mare, e con Iran e Iraq contrari all’esportazione indipendente di greggio della regione curdo-irachena, il sistema Kdp/Krg non aveva altre strade per esportare il suo petrolio sui mercati internazionali. Erdoğan ha colto l’opportunità di ottenere enormi profitti dai punti deboli politici e geografici della Krg. Uno dei motivi alla base della nomina a ministro dell’Energia turca da parte di Erdoğan di suo genero Berat Albayrak, è che le sue società gestivano l’esportazione del greggio della Krg, comprandolo a tariffe molto più basse dei prezzi del mercato internazionale. Intanto la famiglia Barzani beneficiò anche dell’esportazione del petrolio attraverso la Turchia, visto che il primo ministro Nechirvan Barzani (nipote di Masoud), era l’ideatore del contratto e il Kdp e la famiglia Barzani consideravano il petrolio una loro proprietà esclusiva. 

Questi accordi avvicinarono sempre più Kdp e Akp: entrambi in un certo modo contrariati dai successi del Rojava nel Nord della Siria. Su preciso ordine del governo di Erdoğan nel 2015 a Erbil il Kdp chiuse immediatamente tutte le scuole di Fethullah Gülen (l’imam di cui si è parlato nel capitolo sulla Turchia) e un affarista curdo vicino al Kdp ne acquisì la proprietà. E quando l’esercito turco penetrò la Regione curda irachena per 30 chilometri con l’intenzione di attaccare il Pkk, il premier Barzani disse: «Perché la Turchia ha violato i confini? Qual è la ragione? Ci deve essere per forza un motivo. Prima va rimossa quella causa, finché questa non sarà risolta, non si può parlare delle ripercussioni». I documenti di Wikileaks hanno rivelato che Masoud Barzani considerava il Pkk ostile quando incontrò Erdoğan, visto che diceva che «il Pkk è allo stesso modo nemico anche del Kdp, non solo dei turchi». La Krg e il Kdp sono stati utili per Erdoğan e l’Akp: economicamente per guadagnare miliardi di dollari attraverso lucrosi affari e accordi petroliferi nella Krg, e politicamente per imbrigliare il Pkk sui monti Qandil, nel Kurdistan iracheno e in qualche modo in Rojava. Dal canto suo il Kdp ha ricevuto importanti aiuti militari dalla Turchia, trovato una via per aggirare l’Iraq ed esportare il petrolio con cui procurarsi denaro e finalmente fiaccare il Pkk – il suo maggiore antagonista politico, ideologico e militare nei suoi calcoli geopolitici, viste le roccaforti del partito di Öcalan nel Kurdistan al confine tra Turchia e Siria.

La forte presenza turca nella Krg ha schiacciato il Puk nell’orbita iraniana a un punto tale che non può prendere decisioni strategiche senza renderne conto all’Iran. 

Perché la città siriana di Idlib è importante nella “proxy war”

La “congelata” guerra di Idlib cambierà enormemente il corso degli eventi in Siria, sebbene non si capisca bene nell’interesse di chi lo farà. Comunque, dati i recenti sviluppi, la caduta di Idlib sotto il regime siriano avrebbe serie ripercussioni sugli interessi turchi in Siria e sulla cosiddetta opposizione siriana e dell’Esercito siriano libero (Esl). La perdita di influenza turca e l’opposizione del regime siriano faranno buon gioco agli interessi dei curdi in Siria dato che l’opposizione siriana ora opera per procura della Turchia. La caduta di Idlib e l’eventuale ritorno in mano ad al-Assad certificherebbero il fallimento dei turchi, dell’opposizione e dei gruppi estremisti che hanno portato all’attacco contro la città di Afrin.

Allo stesso modo, il successo dei curdi di Siria influenzerebbe sicuramente gli interessi curdi in Iraq, in Turchia e persino in Iran. Nei confronti dell’Iraq, i curdi di Siria, vicini al Pkk, si troverebbero nella condizione di poter ostacolare gli interessi turchi legati al Kdp in Siria attraverso un riavvicinamento agli altri partiti curdi in Iraq. Un governo curdo-siriano forte aiuterebbe i curdi in Iraq, con l’eccezione del Kdp, a riunirsi con il Pkk, il ramo iraniano del Pkk (il Pjak) e i curdi siriani, in una sorta di alleanza abbastanza forte da frenare il tentativo del Kdp di estendere la sua egemonia. 

Idlib, d’altro canto, sarebbe stata importante anche per l’alleanza curdo-americana in Siria poiché se gli Stati Uniti avessero lasciato soli i curdi, la caduta di Idlib avrebbe implicato una alleanza più forte tra Siria, Iran e Russia. Quindi, gli Stati Uniti sarebbero stati una garanzia per i curdi in Siria e cercheranno di fermare la ricerca da parte della Russia di un appoggio politico in Iraq tramite le sue compagnie petrolifere, soprattutto la Rosneft, nella Regione del Kurdistan. Il conflitto Stati Uniti / Russia nella regione assicurerà una posizione di forza ai curdi sia in Iraq sia in Siria per poter proteggere i propri interessi a Damasco e Baghdad. Nel medio termine, gli Usa potrebbero avvicinarsi al Puk e il Pkk potrebbe essere espunto dall’elenco delle organizzazioni terroristiche stilato da Stati Uniti ed Europa. 

La legge 28 e gli affari del Puk con l’Iran

Anche l’Iran beneficiò del petrolio della Kri, dal momento che il regime degli ayatollah aprì le frontiere per il Puk e il Kdp al contrabbando di petrolio in Iran, che tramite la Repubblica Islamica raggiungeva i mercati internazionali attraverso Bandar-e Emam, oppure veniva consumato nel mercato interno iraniano. Teheran raggiunse un accordo con Baghdad per costruire un nuovo oleodotto per l’esportazione del petrolio di Kirkuk nei porti iraniani e di lì sui mercati mondiali: un’offerta volta a rafforzare il Puk nelle aree sotto il suo controllo, dato che il partito di Talabani era stato in qualche modo marginalizzato dal Kdp nell’affare petrolifero, in quanto le esportazioni avvenivano attraverso oleodotti diretti in Turchia controllati dal Kdp e appunto da Ankara, suo alleato regionale. 

È prioritario per la Krg trovare altre vie per i prodotti petroliferi, altrimenti rimarrà sempre alla mercé delle potenze regionali se mira all’esportazione indipendente del greggio aggirando l’Iraq; finora, infatti, ha instaurato patti energetici regionali soltanto con la Turchia, una nazione che ha da fare i conti con una propria “questione curda” e che ha massacrato migliaia di curdi.

Le rotte del petrolio dopo la rivoluzione del Rojava 

Dopo la crisi siriana del 2011 e la rivoluzione curda in Siria emersa di conseguenza, là si era data una speranza che i curdi raggiungessero finalmente il mare, ma la strada è ancora lunga. Il Pkk è protagonista sulla scena delle rotte dei prodotti energetici della regione, come disse in un’intervista a “Der Spiegel” il massimo dirigente del Pkk Cemîl Bayik: la sicurezza energetica europea passa attraverso il cuore della terra curda in Siria e il Pkk può sempre svolgere il ruolo di chi decide della stabilità del Medio Oriente poiché è diventato la maggior forza per combattere il terrorismo. Bayik mi ha detto una volta nel 2015 che «Il ruolo della Turchia si è indebolito e i curdi sono assurti al rango di forza strategica. I cambiamenti nel Medio Oriente cominciano da lì, da questo momento il comparto energetico non è più l’unica cosa che conta. D’ora in avanti il petrolio e il gas del Medio Oriente o addirittura del Caucaso possono viaggiare via Rojava nel Kurdistan siriano. È la fine dei piani turchi». Bayik è pienamente consapevole del fatto che una delle più gravi cause di debolezza della Turchia è la mancanza di risorse petrolifere, mentre una delle sue più forti risorse risiede nella sua posizione su ogni rotta del greggio verso l’Europa e questo può cambiare una volta che il Kurdistan siriano sia liberato. In ogni caso la Krg non è stata capace di impiegare il suo petrolio come uno strumento al servizio della politica internazionale perché ha ricercato solo l’interesse di parte e non quello nazionale e prematuramente puntando sulla sola carta turca. 

Il Rojava ha assunto un ruolo di primo piano nella politica siriana e contribuirà a dare forma alla mappa del paese dopo che è diventato un alleato degli Stati Uniti nella regione. Nel dopoguerra ci sarà estremo bisogno di relazioni economiche tra nazioni limitrofe. Il Rojava può avvicinare Damasco ed Erbil – sempreché ovviamente quest’ultima smetta di complottare contro questa entità. Esistono profonde divergenze tra Rojava e Kdp, ma i rapporti del Rojava con tutti gli altri partiti curdi in Iraq si trovano ora al loro massimo livello. Da quando il passaggio di Semalka al confine tra Rojava e Kri è controllato dal Kdp che ha chiuso la frontiera dopo che è stata stabilita l’amministrazione dei curdi di Siria, i contrasti tra Rojava e Kdp sono aumentati. Il Rojava è un modello dietro al quale c’è il Pkk che considera il Kdp e i suoi rappresentanti in Rojava – l’Enks (Consiglio nazionale curdo) – alla stregua di servi degli interessi turchi. Il Kdp e il Pkk sono stati in conflitto per mantenere l’egemonia sulle quattro parti del Kurdistan e il Pkk si è rivelato il vincitore, avendo una ideologia e dei leader più forti, in particolare Öcalan, considerato da molti curdi un capo politico e un filosofo, come raccontato nella sezione del volume dedicata ai curdi di Turchia, a differenza di Barzani che non vanta alcun intellettualismo.

La Krg ha altre opzioni da considerare, soprattutto dopo il fallimento del quesito referendario sull’indipendenza; innanzitutto aprendo una nuova strada attraverso l’Iran, incoraggiando Baghdad a collegare l’oleodotto del Nord con quello meridionale e poi normalizzando le relazioni con il Rojava per arrivare al porto internazionale di Haifa: Israele ha già acquistato il petrolio della Krg, anche questo è stato discusso da alcuni esperti per quanto la Krg dovrebbe superare la pubblica diffidenza irachena verso qualunque accordo con lo stato ebraico. 

Rosneft e BP: russi e inglesi per la rotta del gas

Fin dal 1991 gli Stati Uniti erano stati alle spalle della Krg, fornendo protezione, fondi, assistenza e formazione, nonché sostegno politico a Baghdad. Ma prima del referendum la dirigenza curda aveva già avviato approcci con la Russia suscitando la preoccupazione statunitense per il voto. Se gli Stati Uniti non fossero riusciti a riunire Erbil e Baghdad, i leader curdi avrebbero continuato a cercare aiuto nella Russia, convinti che potesse essere il miglior deterrente contro Turchia e Iran, che si erano riavvicinati in occasione del referendum; inoltre miravano agli investimenti russi sul comparto energetico per finanziare il loro budget futuro. La Rosneft, potente compagnia petrolifera russa, infatti sta attualmente costruendo un gasdotto per portare il gas della regione sui mercati internazionali e in periodo referendario pagò un affitto di due miliardi di dollari alla Krg. Questo irritò i britannici perché la loro compagnia petrolifera (BP) aveva firmato un accordo con il governo di Baghdad nel 2013 per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi a Kirkuk.

Kirkuk, la Gerusalemme curda e il controllo dei pozzi

I confinanti turchi e iraniani temevano che i partiti curdi locali volessero ispirarsi ai loro confratelli iracheni; l’Iran non voleva che uno stato indipendente curdo si alleasse con Israele e Arabia Saudita perché troppo debole per difendere i confini ed evitare che sauditi, americani e israeliani installassero le loro basi antiraniane nella Regione autonoma del Kurdistan. La continua opposizione di Turchia e Iran ingigantì i problemi per il Kurdistan iracheno, che importa infatti l’85 per cento di cibo e altre merci attraverso Iran e Turchia, il 95 per cento della sua bilancia commerciale inoltre dipende dall’esportazione di greggio tramite i porti turchi. Le sanzioni turche possono facilmente soffocare lo stato curdo, quindi una simile evenienza avrebbe conseguenze drammatiche sotto il profilo economico per una regione già duramente provata da crisi finanziarie e strozzata da miliardi di dollari di indebitamento a livello locale e internazionale. La leadership curda avrebbe dovuto essere più attenta nel periodo precedente al referendum, in modo che gli errori futuri non solo non ostacolassero gli sforzi per uno stato indipendente, ma non mettessero a rischio la relativa stabilità, migliorando il tenore di vita esperito in passato da molti curdi.

Una fonte politica di alto profilo mi ha raccontato che Masoud Barzani ha promosso un referendum irredentista in modo da ottenere «una forte leva da usare contro il governo iracheno per mantenere i pozzi petroliferi a ovest di Kirkuk nel caso di negoziati sul futuro delle relazioni tra Krg e Baghdad». Molti, infatti, dubitavano dei proclami d’indipendentismo di Masoud Barzani; tra questi Hoshyar Abdullah, membro del Gorran, fazione del parlamento iracheno, convinto che il referendum fosse una carta politica giocata per mantenere i giacimenti petroliferi a ovest di Kirkuk e «stornare l’attenzione delle masse curde dai fallimenti della Krg, consentendo al Kdp di recuperare le posizioni perse a Baghdad». 

Masoud Barzani, Nechirvan Barzani e Masrour Barzani, padre, genero e nipote, erano i sostenitori più accaniti dell’indipendenza curda e le loro principali argomentazioni erano, come per gli altri leader curdi, le seguenti: il governo di Baghdad ha deluso nella spartizione del potere, ignorando le richieste della popolazione curda e tagliando i finanziamenti alla Krg; l’Iraq è uno stato fallito e i curdi non vogliono più essere parte di questo fallimento: l’Accordo Sykes-Picot ha privato i curdi della sovranità e ora essi hanno il diritto di opporsi all’ordine tradizionale, visto che sono stati loro a farne le spese; il governo iracheno ha violato 55 articoli costituzionali e non è mai stato implementato l’articolo 140 che determina la sorte di Kirkuk e di altre aree soggette a contenziosi.

Nel 2014 Nechirvan Barzani, il primo ministro del governo regionale curdo, annunciò «l’indipendenza economica del governo locale come strategia per finanziare la Krg attraverso le esportazioni di petrolio», tuttavia questa fallì per il crollo dei prezzi del greggio, la guerra a Daesh e le azioni del governo centrale contro la Krg per tagliare il budget. Di fronte all’avanzata di Daesh su Kirkuk in quello stesso anno il Kdp schierò due brigate a protezione dei campi di petrolio occidentali. Quando il Puk cominciò a sospettare delle intenzioni del Kdp dispiegò a sua volta truppe in quelli a nord della città per bloccare ulteriori pretese del Kdp. Queste mosse mettevano a rischio il destino di Kirkuk dato che non si trovava l’accordo definitivo riguardo il futuro della città (per questo è considerata la Gerusalemme curda, come spiegato nelle mappe all’inizio del volume). Le prospettive per i campi a ovest furono all’origine del conflitto tra il governo regionale e quello iracheno da un lato e tra il Kdp e il Puk dall’altro. Inoltre il Kdp non intendeva concedere a Baghdad il controllo del petrolio dato che il suo piano strategico di controllo energetico era volto a perseguire efficacemente la sua brama di egemonia tramite giochi politici in Iraq e nella regione curda. 

Nel marzo 2017 una forza conosciuta come Hêze Reşeke (Forza nera), vicina al Puk, fece irruzione nella stazione di pompaggio della North Oil Company per mettere sotto pressione Erbil e Baghdad con lo scopo di costruire una raffineria di petrolio a Kirkuk; la mossa del Puk portò Barzani a inviare altri peshmerga per mettere in sicurezza i campi a ovest di Kirkuk controllati dalle forze del Governo regionale leali al Kdp. I leader del Kdp e del Puk non sono davvero riusciti a venire a capo della politica locale e comprendere l’ordine internazionale. 

 

Curdi

Curdi

– a cura di: Antonella De Biasi, con i contributi in volume di Giovanni Caputo, Kamal Chomani, Nicola Pedde

L’entità Kurdistan non esiste. Forse perché le sue genti intendono superare il sovranismo con una gestione confederale dei territori, senza modifiche di confini sempre sullo sfondo della diaspora curda. Questo libro, fin dall’accurato apparato iconografico iniziale, è una disamina della identità curda trasnazionale, delle lotte – anche intestine – delle tante anime curde; tasselli incasellati nei rapporti internazionali e nel coinvolgimento geopolitico della società clanica.
Il volume si avvale delle competenze di esperti nelle specifiche aree e si chiude con un’analisi di Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, esperto di relazioni politiche iraniane, che collabora con “Huffington Post” e “Limes”.
Giovanni Caputo, studioso del “popolo che non c’è”, ha illustrato la situazione nelle aree curde in Siria fino all’occupazione turca di Afrin.
Kamal Chomani, giornalista freelance curdoiracheno, ha narrato con passione i rapporti interni alla sua comunità. Antonella De Biasi studia da molti anni la questione curda: oltre a occuparsi dell’ambito turco, ha approfondito anche la centralità della donna nell’evoluzione della società patriarcale curda.
I contributi sono solo apparentemente limitati dai confini coloniali, dipanando un’unica storia raccontata da diversi punti di vista, tutti riconducibili a una sola cultura declinata in tante lingue e divisioni.

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