Paradossi petroliferi africani

Angelo Ferrari
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Il primo provvedimento che Tinubu, subentrato il 29 maggio a Buhari nella guida della Nigeria, ha notificato ai cittadini è stata la cancellazione dei sussidi pubblici sui carburanti, che costano alla Nnpc 810 milioni di euro al mese, ed ecco uno dei paradossi petroliferi africani: i nigeriani dovranno quindi aspettarsi un rincaro dei prezzi dei trasporti privati e collettivi, e dell’elettricità, spesso ottenuta dai generatori, viste le carenze della rete elettrica: infatti il prezzo calmierato della benzina era uno dei pochi benefici concessi dallo stato. Un precedente tentativo di cancellarli, fatto nel 2012 dal presidente Goodluck Jonathan, aveva scatenato rivolte sanguinose. Angelo Ferrari assimila la situazione innescata ad Abuja alla concomitante, seppur graduale, decisione presa a Luanda di ridurre progressivamente i sussidi sui prodotti petroliferi, proprio a un paio di settimane dal rilancio degli investimenti mondiali (in primis cinesi) sulla produzione e il trasporto del greggio angolano in previsione di una nuova era dello sviluppo energetico.
Lo strapotere dei più grossi produttori di greggio, a elezioni archiviate, mette tra parentesi il bisogno di consenso dei vertici, che si dimostrano espressione delle lobbies degli idrocarburi. Un sistema che innesca il paradosso secondo il quale la Nigeria – e anche l’Angola – reimportano i derivati del petrolio spendendo 10 milioni di dollari al giorno per sostenere Nncp e questo aveva spinto il regime militare di Obasanjo a introdurre il sussidio nel 1977… vedremo come andrà a finire il taglio del paracadute.  


Tempo di far pagare agli africani il rilancio petrolifero

Angola e Nigeria, grandi produttori di petrolio dell’Africa subsahariana, hanno deciso di togliere i sussidi ai carburanti con gravi ripercussioni sull’inflazione e sullo stato generale dell’economia. In Nigeria la decisione ha provocato il caos. Dunque il mandato del nuovo presidente nigeriano, Bola Tinubu, non è iniziato sotto i migliori auspici. Nel discorso di insediamento di lunedì scorso il neopresidente ha annunciato la fine dei sussidi sul carburante e subito è scoppiato il caos. La gente si è accalcata ai distributori di benzina per fare scorte con scene di panico e la conseguenza è stata una sorta di speculazione in piccolo: molti distributori hanno aumentato i prezzi, vista la domanda impazzita, anche del 200% alla pompa. Tinubu, vista la situazione, ha dovuto in qualche modo tornare sui suoi passi: pur non smentendo la fine dei sussidi si è affrettato a dire.

«il panico che si è scatenato in seguito alla comunicazione è inutile, non avrà effetto immediato»,

perché i sussidi non termineranno prima della fine di giugno.

Ma ormai è il caos, anche perché la compagnia petrolifera statale nigeriana, subito dopo, ha reso noto un prossimo aumento del prezzo della benzina. La Nigerian national Petroleum corporation (Nnpc), attraverso una nota ufficiale, spiega che la mossa è in linea con la realtà di mercato:

«I prezzi continueranno a fluttuare per riflettere le dinamiche del mercato».

Il prezzo attuale della benzina è di circa 40 centesimi di euro al litro, e la Nnpc non ha specificato quale sarà il nuovo prezzo né a decorrere da quando, ma secondo i media nigeriani la nuova fascia di prezzo è compresa tra 0,97 euro e 1,19 euro al litro. Un aumento enorme che avrà ripercussioni importanti sull’economia e sull’inflazione – già elevata – nigeriana.
Come era prevedibile, negli ultimi giorni il carburante ha cominciato a scarseggiare e i prezzi sono schizzati con un impatto sul settore della logistica e dei trasporti, costretto a trasferire i costi più elevati sui prezzi di consegna, con un aumento tra il 20% e il 50%. Allo stesso modo i servizi di mobilità come Bolt e Uber sono stati costretti ad adeguare le loro tariffe. I prossimi mesi saranno cruciali per valutare la portata dell’impatto economico a lungo termine.

I paradossi petroliferi

Ma non poteva mancare la ciliegina sulla torta: il parlamento nigeriano ha richiesto un audit forense dopo che in un suo rapporto è stato rilevato che negli ultimi dieci anni sono stati spesi 25 miliardi di dollari per cercare di riparare e ammodernare le fatiscenti raffinerie di petrolio del paese. Nonostante gli enormi costi, il rapporto ha rilevato che queste lavorano a una capacità del 30% inferiore rispetto alle loro potenzialità. La buona notizia, ma solo in parte, è che nel mese di luglio dovrebbe entrare in funzione una raffineria costruita dal noto uomo d’affari nigeriano, Aliko Dangote, l’uomo più ricco della Nigeria.

Ma rimane il paradosso. La Nigeria, uno dei più grandi produttori di petrolio dell’Africa subsahariana, importa l’80% del suo fabbisogno di carburante.

Angola

L’altro grande produttore di petrolio, l’Angola non è da meno. Secondo un rapporto pubblicato l’11 maggio dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, l’Angola è il primo produttore di greggio dell’Africa, con 1,06 milioni di barili al giorno ad aprile e, tuttavia, è un grande importatore di carburante. In Angola, come in Nigeria, solo la raffineria di Luanda è attualmente operativa, mentre quelle di Lobito, Cabinda e Soyo sono ancora in costruzione.
Ecco dunque che anche il governo angolano ha deciso la graduale rimozione dei sussidi al carburante. Il prezzo della benzina passerà dagli attuali 0,27 dollari a 0,51 dollari al litro, con un aumento dell’87,5%, a partire dal 2 giugno. Mentre i prezzi degli altri derivati dal petrolio, come diesel, l’olio illuminante, rimarranno invariati. Il ministro angolano per il Coordinamento Economico, Manuel Nunes Junior, ha spiegato che la rimozione dei sussidi per il carburante è

«una misura necessaria per promuovere una solida crescita economica in grado di affrontare i gravi problemi del paese».

Secondo il ministro, le spese per i sussidi al carburante ammontavano, nel 2022, a 3,8 miliardi di dollari.
In un documento del ministero delle Finanze si legge che con la completa rimozione dei sussidi – dovrebbe concludersi entro il 2025 – per il gasolio e la benzina, l’Angola manterrà comunque un prezzo del petrolio competitivo all’interno della regione. Il rapporto specifica, inoltre, che i sussidi hanno un impatto negativo sulle finanze pubbliche, generando costi fiscali crescenti e insostenibili nel medio e lungo termine, ostacolando la capacità finanziaria del paese di investire nei servizi di base e nei progetti di sviluppo sociale. Nell’immediato ha l’effetto di far crescere i prezzi dei generi di prima necessità, diminuire il potere di acquisto e impoverire ulteriormente la popolazione. Ma all’Angola, evidentemente, sta molto a cuore l’industria petrolifera che, a detta del ministero delle Finanze, è minacciata proprio dai sussidi che incoraggerebbero il contrabbando di petrolio verso i paesi vicini, con prezzi di oltre il 70% superiori rispetto a quelli dell’Angola.

paradossi petroliferi

Il 2022 si è chiuso con i prezzi di mercato della benzina e del gasolio superiori ai prezzi sovvenzionati in Angola rispettivamente del 202% e del 279%. I sussidi per i carburanti nel 2022 rappresentavano circa il 92% delle spese per la sanità e l’istruzione del paese nello stesso anno. In quel rapporto si legge che potrebbero raggiungere circa il 3,5% del prodotto interno lordo del 2022 e circa il 20% del bilancio generale previsto per il 2023 in Angola.

A causa del «significativo impatto della rimozione dei sussidi per il carburante sull’inflazione e sulla solvibilità delle famiglie» il rapporto propone misure di mitigazione per riassegnare tali sussidi all’energia, ai trasporti pubblici e ai programmi sociali. Staremo a vedere.
Stando ai dati aggiornati alla fine di maggio del sito web Global Petrol Prices, dopo l’aumento del prezzo della benzina in Angola, il paese passerà dal quarto più economico al mondo al decimo in termini di prezzo della benzina.