Bobo Break!

Bobo-Dioulasso, una città africana di media grandezza, si manifesta attraverso la sua oralità e l’arte dei griots, non solo agli occhi di chi la osserva ma anche nella memoria di chi ascolta le sue storie. Non si può raccontare senza passare attraverso i suoi canti e le sue danze. È un luogo dove la parola modella l’argilla nelle zone rurali durante i lunghi sei mesi della stagione secca, da novembre a maggio, e dove la musica dà vita agli spazi urbani durante i matrimoni e le celebrazioni di quartiere. Il ritmo quotidiano è scandito dal suono delle donne che preparano il to’, la polenta, dall’intensa attività dei mercati mattutini e infine dalle storie narrate nei maquis serali. In questo libro mi propongo di narrare le storie che ho ascoltato e i significativi cambiamenti che hanno interessato sia le aree rurali che urbane di Bobo in un determinato arco temporale, a partire da un periodo di stabilità politica che è durato 27 anni, dal 1987 al 2014. Durante questi anni, il Burkina Faso è stato governato da un uomo controverso, temuto e ammirato, che ha compiaciuto alcuni ma dimenticato altri, portando Bobo-Dioulasso a distaccarsi dalle politiche centrali. Tuttavia, il delicato equilibrio cominciò a incrinarsi nel 2002 con la guerra civile in Costa d’Avorio e divenne ancora più instabile con la scoperta di grandi risorse auree nel Burkina Faso nel 2006, trasformando il Sahel in un Eldorado poi dimenticato.

«Questo libro è nato dalla mia necessità di aprire un dialogo con altri curiosi abitanti delle città, con altri cittadini cosmopoliti, sull’esistenza di un’anima non umana, sull’anima del mondo, sulla percezione della città da un punto di vista frontale e vissuto – come sperimentato da tutti i sensi –, e che ho vissuto nel fare architettura a Bobo, cambiando il mio modo di ascoltare la natura e il territorio».

Chiara Rigotti

Il libro come si può leggere ora è cominciato con alcune elucubrazioni dell’Autrice nell’agosto 2023, che ha condiviso con OGzero e che cominciamo a proporvi, questa volta inserendo a posteriori i testi preparatori di un libro già uscito e disponibile, che si può così ricostruire negli intenti e nella fattura.

Racconta Chiara Rigotti, architetta a lungo vissuta e operante in Burkina Faso: «Ho conosciuto un Burkina che presto non esisterà più, ho assistito a molti rituali invitata dai capi villaggi, ho creato cantieri-scuola seguendo i principi di Thomas Sankara usando solo materiali locali e formando i giovani di almeno due generazioni. Insegno nelle Università Burkinabé dal 2002.
Ho vissuto la rivoluzione del 2014 che ha cambiato tutto e ho assistito agli ultimi due colpi di stato. Ho lavorato 6 anni nei villaggi prima di aprire il mio studio in città, ho avuto molti clienti diversi: istituzioni pubbliche e private, parrocchie, ong, privati e anche i ministeri.
Il mio impegno nell’architettura sostenibile e socialmente responsabile in Burkina Faso è stato guidato dalla convinzione che l’architettura non debba solo rispondere a esigenze funzionali ed estetiche, ma debba anche essere un motore per il progresso sociale e culturale. Ogni comunità ha una storia, una cultura e un contesto unici che devono essere rispettati e integrati nella progettazione degli spazi che abitano. La sfida sta nel trovare il giusto equilibrio tra innovazione e tradizione, tra esigenze moderne e radici culturali».

Uno degli intenti principali è quello di riuscire a trasmettere l’aspetto spesso invisibile di questa cultura rurale, che ha rinunciato a favorire una forma architettonica in favore di uno stile che si integri con il paesaggio circostante e rispetti l’ambiente naturale; non bastano dunque competenze tecniche per operare senza fare danni in una realtà così complessa, ma sono richieste anche capacità psicologiche per comprendere le esigenze dei committenti, sensibilità antropologica per comprendere i simboli e i segni culturali, nonché una visione futuristica per creare in armonia con gli usi e le tradizioni locali, facendo tesoro di un mosaico di storie di vita vissuta che si intrecciano in un racconto cronologico unito dal filo rosso di un’architettura consapevole dei luoghi e delle comunità a cui essa è destinata.
In questa prospettiva grandi architetti africani come Francis Keré hanno potuto costruire architetture ecologiche e socialmente rilevanti grazie al supporto consolidato nel tempo di leader visionari come Thomas Sankara, che diceva «Osez inventer l’avenir».

La storia del Burkina Faso è caratterizzata da scambi culturali e commerciali che affondano le radici nell’epoca medievale e da grandi imperi, come l’Impero del Mali Malinké e l’Impero Shongai del Ghana, che hanno cercato spesso di conquistare la città di Bobo-Dioulasso senza mai riuscirci e di recente pure la grandeur francese è stata ridimensionata fino a venire estromessa dal paese. Il Burkina Faso è uno dei paesi più densamente popolati dell’Africa occidentale. Secondo le stime delle Nazioni Unite la popolazione è di circa 21,4 milioni di persone su un territorio di 330 chilometri quadrati.

L’urbanizzazione è in costante aumento, con un tasso di urbanizzazione stimato al 33,6% nel 2021. Questo indica che circa un terzo della popolazione vive in aree urbane. Le città principali, come la capitale Ouagadougou e Bobo-Dioulasso, hanno sperimentato un rapido aumento della popolazione e dell’urbanizzazione a causa della migrazione rurale e dell’aumento delle opportunità economiche nelle aree urbane.
Nel corso degli ultimi quattro anni, le migrazioni verso le aree urbane sono state innescate dalla confisca delle terre settentrionali da parte dei gruppi terroristici. Il numero dei deplacées interni è aumentato in modo significativo, ponendo una pressione urgente sulle città per affrontare l’emergente povertà. Un considerevole numero di individui nelle aree urbane vive in insediamenti informali, affrontando sfide legate all’alloggio, all’igiene e all’accesso all’acqua potabile.

La popolazione giovanile gioca un ruolo significativo in tutto il continente. La maggior parte della popolazione è composta da giovani sotto i 25 anni. Questa giovane popolazione rappresenta sia una risorsa che una sfida per il Burkina Faso. Da un lato, offre il potenziale per lo sviluppo economico e sociale, ma dall’altro lato, richiede opportunità educative, formazione professionale e opportunità di lavoro per evitare problemi di disoccupazione giovanile.
Inoltre, la crescente urbanizzazione richiede una pianificazione urbana e un’infrastruttura adeguata per sostenere le esigenze della popolazione urbana in crescita. Il governo e le organizzazioni internazionali stanno lavorando per affrontare queste sfide e migliorare la qualità della vita nelle città medie oltre che nelle capitali. Nell’attuale contesto, l’approccio degli urbanisti deve adottare una prospettiva olistica che tenga conto della storia e delle dinamiche della popolazione.

La città di Bobo-Dioulasso ha una storia leggendaria che riflette l’interazione di diverse etnie come i bobo e i dioula, ognuna con la propria cultura e tradizioni. I bobo sono una popolazione sedentaria, principalmente animista, che non si spostò mai dalla regione delle grandi pianure e dei grandi bacini d’acqua, una zona molto fertile e ricca di vegetazione che occupa la parte ovest del Burkina Faso fino al sud del Mali, mentre i dioula sono commercianti, spesso musulmani, che si spostano per i loro commerci dal Sud del Senegal e della Guinea fino alla Costa d’Avorio, passando per il Mali. Bobo-Dioulasso nella lingua locale significa la casa (so) dei bobo e dei dioula.

Caratterizzata da una stretta interazione tra gli edifici e il territorio, l’architettura soudano-saheliana è spesso realizzata utilizzando materiali locali come la terra cruda, la paglia e il legno. Uno dei principali elementi distintivi di questo stile è l’uso di tecniche di costruzione ancestrale, locali, come la “boule di terra” o “pisé”, che coinvolgono la creazione di pareti solide in terra compattata. Questo metodo consente un buon isolamento termico, mantenendo gli interni freschi durante le calde giornate e limitando i cambiamenti di temperatura.

Le abitazioni soudano-saheliane spesso presentano forme compatte con tetti spioventi che favoriscono il deflusso delle piogge. Le finestre sono progettate per consentire una buona ventilazione naturale e l’ingresso di luce, ma al contempo limitano l’irradiazione solare diretta durante le ore più calde della giornata.
Un altro aspetto importante dell’architettura tradizionale di questi luoghi è la possibilità di ampliare gli edifici in base alle esigenze. Questo permette di adattare le strutture agli sviluppi familiari o alle nuove attività, senza dover demolire o modificare l’intero edificio.

L’importazione indiscriminata di materiali da costruzione “stranieri” negli ultimi 50 anni, come il cemento e la lamiera, ha avuto un impatto negativo sull’architettura tradizionale e sostenibile dell’Africa occidentale, in particolare nella regione del Burkina Faso. Questi materiali, sebbene possano sembrare moderni e convenienti, spesso non sono adeguati alle condizioni climatiche e alle risorse locali, portando a conseguenze nefaste per l’ambiente e per la cultura architettonica.
Il cemento è diventato un materiale molto popolare nell’edilizia, ma la sua produzione richiede grandi quantità di energia e risorse naturali, contribuendo all’emissione di gas serra e all’alterazione dell’equilibrio ecologico. Inoltre, gli edifici in cemento tendono a trattenere il calore e a provocare sbalzi termici significativi, causando disagi termici all’interno delle abitazioni.
La lamiera, sebbene possa sembrare una soluzione economica per i tetti, crea un serio problema di surriscaldamento. Le temperature sotto la lamiera possono diventare insopportabilmente alte durante la stagione calda, rendendo gli spazi abitativi inospitali e poco confortevoli.


L’abbandono dei materiali locali e delle tecniche tradizionali è stato spesso guidato da un desiderio di modernità e di adottare ciò che è percepito come “moderno” o “occidentale”. Questo cambiamento di mentalità è spesso incoraggiato dalla pubblicità, dai media e dalla percezione che l’uso di materiali di importazione sia sinonimo di progresso.
La deforestazione ha ulteriormente aggravato la situazione, poiché la mancanza di legno ha spinto le persone a cercare alternative ai tetti tradizionali. I blocchi di cemento e la lamiera sono diventati le opzioni preferite per costruire più rapidamente e a un costo inferiore, nonostante i loro svantaggi in termini di efficienza energetica e comfort.
Tuttavia, negli ultimi anni, c’è stata una crescente consapevolezza dei danni causati da queste pratiche e un ritorno alla valorizzazione dei materiali locali e delle tecniche tradizionali. Gli architetti e gli urbanisti stanno lavorando per sviluppare soluzioni che combinino l’uso di materiali locali con approcci moderni e sostenibili. Ciò include la promozione di tecniche di costruzione bioclimatiche, l’uso di materiali naturali come la terra cruda e la paglia e la reintroduzione di tecniche tradizionali di raffreddamento passivo.

Chiara Rigotti è architetto e consulente internazionale, da più di 20 anni svolge un lavoro di progettazione e ricerca nell’architettura ecologica e sociale. Nel 2002, il suo percorso l’ha portata in Burkina Faso con Arquitectos sin Fronteras – Barcelona, dove si è dedicata alla costruzione di infrastrutture e alla formazione di maestranze locali tessendo un dialogo costruttivo tra la pratica architettonica e le sapienti tecniche tradizionali, imparando e insegnando al contempo. Ha realizzato diversi progetti in Burkina Faso e in molti altri paesi africani tenendo sempre uno sguardo attento sulla natura del luogo e le sue potenzialità. Il suo studio di bioarchitettura nasce nel 2014, e dopo qualche anno ottiene il Terra Sahel Award 2019. Scrive e coordina progetti di cooperazione locale e internazionale, ha co-fondato Architettura senza Frontiere – Piemonte e ha deciso di trasmettere attraverso l’insegnamento quello che ha imparato nei suoi viaggi.

La ricca sezione delle città africane pensata e inserita nella collana dietro indicazione, selezione e cura di Angelo Ferrari è ora nelle capaci mani di Federico Monica, architetto specializzato nell’analisi dei fenomeni urbani in Africa, ha accettato l’impegnativo compito di ereditare e proseguire il suo impegno a partire da qui…

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