Bashar al-Assad

Ritorno agli accordi prima delle Primavere

Caro fratello Assad, ti va un panino insieme?!

Murat Cinar
Il 28 dicembre si è svolto a Mosca un vertice a tre con la partecipazione…
una mobilitazione costante in IraqMelih Cevdet Teksen / Shutterstock

n. 9 Iraq: Il Destino comune dei paesi mesopotamici. (I) La fine dello stato e il settarismo

Fabiana Triburgo
Lo spazio dedicato alla sezione irachena non a caso cade a ridosso…
il clan al Assad

n. 8 – Siria (III): il clan al-Assad e la Guerra civile

Fabiana Triburgo
Nella serie di articoli dedicati alle rotte mediorientali della…
gsafarek

n. 8 – Siria (II): la Primavera e le “tre Sirie”

Fabiana Triburgo
Nella serie di articoli dedicati alle rotte mediorientali della…
Libano: dove tutto cambia perché nulla cambicsakisti

n. 7 - Libano: dove tutto cambia perché nulla cambi

Fabiana Triburgo
Questo contributo di Fabiana Triburgo sulla questione migratoria…

L’attivismo di Erdoğan concepito al Cremlino

Murat Cinar
Le strategie parallele russo-turche per l'indipendenza ottomana dagli Usa porta alle intese di Astana per spartirsi energia e controllo sullo scacchiere mediterraneo

Attivismo turco nel mondo arabo: una partita energetica e strategica

Alberto Negri
All'arabizzazione forzata del Rojava negli intenti di Erdoğan, attivo anche in Libia, si contrappongono le affermazioni di Bashar al Assad, che lo giudica un invasore, forse pensando che il padre Hafiz aveva già operato un'arabizzazione della regione ai danni dei curdi; la spartizione della Siria con la fine del decennio si è completata, mentre due fazioni simili si contendono il potere in quella che era la Libia, di nuovo internazionalizzando la guerra per procura, con precisi appoggi dagli uni o dagli altri. La presenza russa condiziona e indirizza i protagonisti di entrambi i campi libici, come già in Siria. L’accordo intercorso tra Erdoğan e Serraj per spartirsi il petrolio del Mediterraneo e le minime reazioni internazionali a questo abuso dimostrano la dipendenza di ogni nazione dalle risorse dei territori sottoposti a rivolgimenti geopoliticamente strategici, per cui ciascuno si mantiene libero di saltare sul giacimento del vincitore; solo la Grecia ha espulso l’ambasciatore turco, evidenziando la debolezza europea. Ma cosa si può immaginare in trasparenza dietro a questa situazione? in quale contesto dei due paesi si va a inserire? Questo bel cortocircuito che coinvolge l’intero scacchiere mediorientale vede sempre in controluce il profilo di Putin, che spedisce truppe (il famigerato contingente paramilitare Wagner) e smuove alleanze contrapposte. Allargando il campo ai molti motivi di scontro, alleanze e affinità religiose (piegate a fare da foglia di fico per gli interessi geopolitici): se da un lato ci sono i Fratelli Musulmani, che Erdoğan appoggia dovunque, dall’altro lato c’è l’Egitto di Al-Sisi che con un golpe ha cacciato proprio il governo islamista eletto che sostiene un governo di Bengasi ufficialmente laico, ma finanziato dai wahaabiti sauditi, quanto Tripoli si avvale delle milizie jihadiste di Misurata. Così l’area mesopotamica torna ad apparentarsi con quella libica: gli strumenti, le strategie, gli interessi e i meccanismi messi in atto sono riconducibili a una medesima regia globale?