La favela e le persone afrodiscendenti
Un Brasile che viaggiava dunque a due velocità e che negli anni Settanta, con la dittatura militare, inaugurò un progetto politico di sradicamento della favela: furono cacciati fisicamente dalle loro case centinaia di migliaia di residenti. Durante l’amministrazione di Carlos Lacerda, molti furono trasferiti in progetti di edilizia popolare come Cidade de Deus [Città di Dio], luogo reso famoso internazionalmente dal capolavoro letterario di Paulo Lins. Lo scrittore abitava nella favela Ciudade de Deus a Rio de Janeiro e nel 1995 pubblicò il libro omonimo: un romanzo sociologico che racconta la vita di bambini e giovani trafficanti, assassini e tossicodipendenti nella favela che lui conosceva molto bene. Nel 2002, il regista Fernando Meirelles decise di portare il racconto di Lins sul grande schermo, realizzando un film che ha ricevuto quattro nomination all’Oscar e una nomination al Golden Globe.
Negli anni Ottanta si assistette invece allo scoppio della violenza associata al fiorente commercio di droga, che aveva fatto diventare città come Rio de Janeiro, degli snodi logistici molto importanti per i carichi di cocaina destinati all’Europa. Le favelas, luoghi nei quali lo stato non esisteva, si riempirono di armi e lo spazio lasciato vuoto dalle istituzioni venne presto riempito da gruppi criminali. Da quel momento in poi gli scontri tra le forze dell’ordine e le bande criminali che controllano le favelas (a Rio de Janeiro esistono per esempio circa 800 favelas che ospitano circa 1,5 milioni di persone) sono diventati una routine quotidiana; una routine che vede i favelados, a maggioranza afrodiscendenti, stretti in una morsa di violenza senza facile uscita. Anche qui il cinema ci viene in aiuto fornendoci attraverso l’acclamato Truppa d’Elite del 2007 (del regista José Padilha) gli elementi per comprendere il contesto dello scontro, la corruzione, la violenza e l’ingiustizia vissuta nelle favelas. Quanto narrato da Truppa d’Elite però non è figlio della fantasia del regista ma risponde a un razzismo istituzionale e strutturale di un paese dove le persone afrodiscendenti costituiscono poco più del 50% della popolazione ma rappresentano oltre il 75% delle vittime della polizia. Afrodiscendente, tra i 18 e i 30 anni e residente in una favela: questo è il profilo che ha una probabilità tre volte maggiore di morire in un’operazione di polizia in Brasile. Dati lapidari offerti dall’ong Forum Brasiliana di Sicurezza Pubblica che tracciano una chiara sovrarappresentazione delle persone afrodiscendenti nelle operazioni letali della polizia. Parlando di giovani poi, il report “Atlas della Violencia 2021” redatto dalla stessa organizzazione, dettaglia che tra il 2016 e il 2020 sono state registrate 34.918 morti violente di minori di 19 anni. Di quel totale, più di 31.000 erano adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni, inclusi 25.592 (80%) giovani afrodiscendenti (10% del totale durante un intervento della polizia). Per capire questi dati è importante ricordare che la popolazione afrodiscendente in Brasile rappresenta il 53% dei 212 milioni di abitanti. Nell’ultimo paese del continente Americano ad abolire la schiavitù, la comunità afrodiscendente rappresenta dunque più della metà della popolazione, ma è anche quella che muore di più, guadagna di meno e soffre maggiormente la precarietà economica e abitativa. Ben 134 anni dopo la Lei Áurea, la strada per la costruzione di uno spazio identitario scevro di sottomissione e di una cittadinanza piena, reale, fatta di uguaglianza e dignità è ancora un traguardo lontano per la popolazione afrodiscendente del Brasile.
Favela non vuol dire Rio de Janeiro
Uno dei luoghi comuni dai quali è necessario uscire è quello che vede il binomio Favela – Rio de Janeiro. In tutto il Brasile, circa 11,4 milioni di abitanti vivono in quartieri a basso reddito che l’istituto nazionale di statistica classifica come agglomerati subnormali e di cui, secondo l’ultimo censimento, il 40 per cento si trova negli stati di São Paulo e Rio de Janeiro. In questo senso il dettagliato studio realizzato da Juan Peréz Ventura nel 2013, dal titolo Los problemas socioeconómicos de las ciudades globales del Sur. Estudio de caso: Río de Janeiro ci offre molti spunti di riflessione. Nonostante si tratti di un documento che sta per compiere 10 anni, le tendenze indicate nello stesso, così come gli elementi di proporzionalità, offrono chiavi di lettura attuali ed esplicative.
Alcuni numeri
Dalla tabella 1 possiamo trarre delle considerazioni importanti. Vediamo per esempio che più del 14% della popolazione di Rio de Janeiro viveva nelle favelas ma che è São Paulo la città che concentrava più popolazione favelada. Le percentuali di São Paulo e Rio de Janeiro sono drammatiche ma sono molto basse rispetto ai dati di altre città brasiliane: eclatante era la situazione di Belém (stato di Pará) una città di 2,1 milioni di abitanti in cui il 54% della popolazione viveva nelle favelas.
Le favelas in Brasile, possono essere caratterizzate con ordini di grandezza diversi a seconda per esempio della densità demografica o dello sviluppo urbano delle stesse: in estensione verticale sulle colline (come quella di Vidigal a Rio de Janeiro) o in estensione orizzontale (come Cidade de Deus a Rio de Janeiro o Paraisópolis a São Paulo, in modo paradossale perché a ridosso di un’estensione verticale di un grattacielo di lusso al di là del muro).
Parlando di Rio de Janeiro scopriamo (Tabella 2) che esistono favelas che addirittura superano il chilometro quadrato di estensione, come quella chiamata Fazenda Coqueiro.
Il punto demografico è invece molto difficile da dirimere. La particolare situazione di vulnerabilità e precarietà ha un effetto al rialzo sul tasso di natalità nelle favelas ma non tutti i nuovi nati vengono registrati e censiti. A questo si aggiungono anche i processi di migrazione interna costante e di mancanza o perdita di documenti di residenza. Questi elementi creano una dissonanza tra i dati statistici disponibili e le cifre che vengono stimate. In questo senso vediamo come Heliópolis (città del sole) risulti essere la favela più grande di São Paulo per popolazione stimata, circa 125.000 persone, ma la seconda per estensione, dietro a Paraisópolis (città paradiso) che si estende per quasi 800.000 metri quadrati. Heliópolis, fondata nel 1970 e composta da 14 agglomerati, è stata considerata per molto tempo come la favela più grande del Brasile ma nel 2006 ha acqusito la denominazione amminstrativa di quartiere, cambiando nome in Cidade Nova Heliópolis e iniziando un veloce processo di urbanizzazione.
Oggi dunque la piú grande favela di São Paulo per estensione è Paraisópolis, zona Sud della città, distretto di Vila Andrade. In questa comunità, secondo il censimento del 2010, gli abitanti erano circa 43.000 ma le stime di oggi parlano di almeno 100.000 persone. Paraisópolis nacque nel 1921 dalla divisione della Fazenda do Morumbi en 2200 lotti di 10×50 metri ciascuno (la comunità ha celebrato a settembre dell’anno scorso il centenario), lontana dalla città e da quel fiorire della modernità urbana che avvolgeva la dinamica São Paulo. La sua popolazione iniziò ad aumentare nel pieno della Seconda guerra mondiale e aumentò ulteriormente con l’arrivo dei lavoratori per la costruzione del vicino Stadio Morumbi. Oggi quest’area di quasi 1 chilometro quadrato, popolata da case in mattoni a vista e attraversata da vicoli stretti e disordinati, si trova nel cuore di São Paulo, inghiottita dall’espansione urbana della città. Nell’area i servizi continuano però a essere pochi e scostanti: se da un lato la maggior parte delle strade è ora asfaltata e c’è una decente connessione a Internet, dall’altro alcuni settori non hanno fognature o codici postali. Sempre a Paraisópolis è da segnalare un’importante iniziativa sociale ideate nel 2016 e concretizzatasi nel 2018: la Banca Comunitaria di Paraisópolis. Si tratta di un progetto pensato e creato dall’associazione degli abitanti e dei commercianti della favela (ci sono nella favela circa 8000 piccoli commerci) che conta con una propria valuta chiamata Nova Paraisópolis e che è gestita dalle persone della comunità. Un istituto finanziario con sede nella favela e che vuole offrire un servizio integrale e accessibile alle persone in situazione di vulnerabilità: conti correnti, carte di debito, microcredito e prestiti, nonché assicurazioni sulla vita e sulla salute.
Quello della Banca Comunitaria di Paraisópolis non è però un caso isolato. Joana Oliveria, in un articolo del 2018 per l’agenzia di stampa turca “Anadolu”, intervistando Joaquim de Melo Neto (uno dei fondatori della Banca Palmas) raccontava che:
«Secondo la Rete brasiliana delle Banche Comunitarie, sono 103 gli istituti di questo tipo nel paese, che tra il 2016 e il 2017 hanno movimentato 40 milioni di reais (circa 12 milioni di dollari). La storia di queste istituzioni inizia nel 1998, con la creazione del Banco Palmas nella favela Palmeiras, a Fortaleza, capitale della regione nordorientale del Brasile.
“Abbiamo iniziato a chiederci perché eravamo poveri e ci siamo resi conto che le persone spendevano i loro soldi fuori dalla comunità, senza generare reddito o occupazione per noi stessi. Ecco perché, con 2000 Brl prestati da una ong, abbiamo costituito la banca per aiutare i commercianti di Palmeiras”, ricorda Joaquim de Melo Neto, uno dei fondatori del Banco Palmas.
Quando l’istituto ha creato la propria valuta, stampata su carta comune e che ancora circola nella comunità, la Banca Centrale del Brasile ha intentato una causa contro i residenti, accusandoli di contraffazione di denaro. L’entità ha inviato loro una lettera per mettere in dubbio la legittimità della banca…
… Il Banco Palmas ha vinto il processo nel 2005 e la Banca Centrale è stata costretta a riconoscere che le istituzioni finanziarie comunitarie possono esistere. Grazie a questa decisione, le entità finanziarie di natura sociale sono sotto l’egida del Segretariato dell’Economia Solidale, del Ministero del Lavoro brasiliano».