Razzializzazione nell’urbanistica della povertà
Uno scontro da due mondi diversi
Tornando a Rio de Janeiro e alle analisi proposte da Juan Peréz Ventura, possiamo vedere che la tensione tra le due dimensioni abitative della città, quella delle favelas e quella “ordinata” del Brasile proiettato nel futuro, rimane alta. Un esempio di questo è il Parco Nazionale di Tijuca, situato nella zona Sud di Rio de Janeiro, considerato la più grande “foresta urbana” del mondo e dichiarata Riserva della Biosfera dall’Unesco nel 1991. L’integrità di quest’area è stata minacciata dall’avanzare degli insediamenti informali, che sono cresciuti esponenzialmente sulle pendici delle montagne e delle colline che formano il Parco Nazionale.
La favela Rocinha, una delle più grandi della città, si trova per esempio in una valle all’interno del Parco Nazionale di Tijuca. Di fronte a questa situazione, nel 2009 il governo dello stato di Rio de Janeiro ha preso una decisione controversa: costruire un muro di cemento che circondasse le favelas, per impedire che continuassero a crescere attraverso aree protette e aree di interesse turistico. Di fronte a questo, Ventura spiega che:
«Sebbene il discorso politico abbia ripetuto più volte che l’obiettivo era quello di proteggere la ricchezza naturale che circonda Rio, per l’opinione pubblica la costruzione di questo muro avrebbe accentuato la segregazione sociale.
Il sindaco di Rio assicurò che l’unico scopo del muro era quello di fermare il disboscamento delle foreste atlantiche che un tempo ricoprivano le colline di Rio de Janeiro e che con la crescita delle favelas rischiano di scomparire. Quello che nessuno ha ancora spiegato è perché finora la costruzione di mura è stata pianificata solo nelle favelas situate nei quartieri di São Conrado, Gávea, Leblon, Ipanema, Copacabana, Leme, Urca e Botafogo. Ovvero i quartieri di Rio classificati come “nobili” dalle agenzie immobiliari».
Sempre nello stesso periodo (il 19 novembre 2008) nella città di Rio de Janeiro venne installata la prima UPP – Unità di Polizia di Pacificazione, il germe di un nuovo paradigma di presenza militare del governo in aeree fino a quel momento completamente dimenticate.
Ma proprio delle UPP ci parla Marielle Franco, afrobrasiliana filha da Maré (figlia della favela Maré) e oggi simbolo di quel Brasile dei “Nadie” parafrasando Galeano, che non vuole più abbassere la testa. Franco è stata uccisa insieme al suo autista Anderson Gomes il 14 marzo 2018 e a oggi sul caso non è stata ancora fatta chiarezza e neanche giustizia. La sua storia è oggi sinomino di speranza, lotta e resistenza giacché Marielle è diventata simbolo universale del femminismo, della lotta per i diritti civili, per la giustizia sociale e per le rivendicazioni della popolazione afrodiscendente e del collettivo LGBTIQ+. Ho raccontato la sua vita e la sua lotta nel libro “Tracce indelebili: storie di dieci attivisti che hanno cambiato il mondo” pubblicato nell’ottobre 2021 da Osservatorio Diritti, spiegando come Marielle si fosse sempre opposta a questa segregazione e securitizzazione militare delle favelas.
Il 29 settembre 2014 infatti Franco, difese la sua tesi di specializzazione sulle Unità di Polizia di Pacificazione – UPP, un documento/denuncia dal titolo UPP: la riduzione della favela a tre lettere. Un’analisi della politica di sicurezza pubblica nello stato di Rio de Janeiro
Presentando le conclusioni della sua tesi nel Congresso dell’Associazione Latinoamericana di Sociologia nel 2017, la stessa Mariella Franco affermò che:
«…il fallimento delle UPP si vive brutalmente nella routine degli abitanti delle favelas. La logica del confronto, giustificata dalla narrazione storica della “guerra alla droga”, non trova alcuna differenza tra favelas apparentemente pacificate e non pacificate. È una politica genocida che viola sistematicamente i diritti dei residenti delle favelas e causa vittime, soprattutto tra i giovani neri. La persistenza di questo tipo di politica è legata ad aspetti più profondi della semplice “cultura della polizia”, così spesso citata come nuova nel progetto UPPs. Finché l’approccio alla sicurezza pubblica sarà strutturalmente legato al lucroso mercato illegale di armi e droga e alla corruzione di agenti statali, ogni presunta “pacificazione” non significherà altro che un “caveirão” vestito di bianco».
E probabilmente era proprio un’auto blindata in uso alla Polizia militare dello stato di Rio (Pmer) quella usata dai sicari che hanno ucciso Marielle, il frutto migliore della favela.
Marielle si oppose con forza anche alla strategia che soggiaceva alla Coppa del Mondo di Calcio nel 2014 e i Giochi Olimpici del 2016, che si sarebbe svolti proprio a Rio de Janeiro. L’amministrazione pubblica della città volle cogliere l’occasione per presentare al mondo una Rio de Janeiro carnevalesca, senza poveri, senza afrodiscendenti, senza criminalità. La narrazione che si voleva offrire prevedeva una “pulizia sociale” senza precedenti e una militarizzazione delle favelas. Marielle fu sempre in prima fila nel denunciare gli abusi e i crimini commessi sull’altare della “presentabilità internazionale” arrivando ad accusare pubblicamente la polizia per i crimini commessi nella favela, esponendosi contro le operazioni belliche delle forze speciali nei quartieri più emarginati della città. La narrativa di Franco si opponeva alla trasformazione di Rio de Janeiro in un laboratorio del paradigma bellico per la “gestione” della questione criminale. Un paradigma che criminalizzava la povertà, fomentando l’aporofobia (il muro di paura dei poveri che il capitalismo erige per rifiutarli), assimilando il traffico di droga ai quartieri poveri e proponendo delle vere e proprie politiche di sterminio all’interno delle favelas. Da un lato i ricchi (bianchi) che denunciavano l’insicurezza di una città nella quale non potevano “fare la vita da ricchi” e dall’altro una maggioranza delle popolazioni, vittima di discriminazioni intersezionali che vedeva limitate le libertà di movimento, di espressione, di assembramento e manifestazione. Insomma, un progetto di annichilamento di quella parte delle città che Marielle Franco rappresentava ma che non si addiceva al biglietto da visita che l’oligarchia cittadina voleva offrire al mondo.
Forte delle sue idee e di una maturità politica data da più di 15 anni di militanza, Marielle decise di lanciarsi “nell’arena” e candidarsi al ruolo di consigliera nell’Assemblea Legislativa di Rio de Janeiro nella coalizione “Cambiar es posible” (Cambiare è possibile) formata dal Psol e dal Partito Comunista Brasiliano (Pcb). La campagna elettorale si svolse tra il 5 e il 21 agosto 2016, simultaneamente ai Giochi Olimpici e Marielle non risparmiò energie nel presentare e raccontare il suo programma, anche al sud, nella zona conosciuta per essere la più ricca della città. Fu un plebiscito. Il 30 di ottobre 2016 Marielle Franco ottenne 46.502 voti, risultando il quinto candidato più votato.
A Marielle è dedicato oggi un progetto che non può essere dimenticato ne marginalizzato quando si parla di favelas: mi riferisco al portale Wikifavela, un dizionario virtuale che combatte la discriminazione in Brasile. Proprio dal sito, disponibile in portoghese, inglese e spagnolo, possiamo leggere che:
«Il Dizionario della Favela è una piattaforma virtuale ad accesso pubblico per la produzione e la diffusione della conoscenza delle favelas e delle loro periferie. Mira a stimolare e consentire la raccolta e la costruzione delle conoscenze esistenti sulle favelas, collegando una rete di partner nelle università e nelle istituzioni e collettivi esistenti in questi territori. Il Dizionario Favela continua la lotta della consigliera comunale di Rio de Janeiro Marielle Franco e di molti altri leader della comunità contro il pregiudizio e l’esclusione, costruendo una società più giusta ed egualitaria».