La Rovinosa Caduta dell’Occidente
«Non si possono mescolare acqua e fuoco. Se l’occidentale si comportasse come un orientale diventerebbe ridicolo, e viceversa… Costruire ponti falsi o illusori sopra abissi vaneggianti è cosa inutile». Così scrisse Carl Gustav Jung, che pure dall’Oriente aveva tratto ispirazione.
Oggi quelle parole sono purtroppo superflue, forse inutili; perché gli occidentali non cercano di comportarsi come un orientale, si comportano come credono si comporterebbe un orientale. Non cercano ponti, cercano conferme alle loro illusioni.
Quei giovani, squallidi occidentali, in genere in acconciatura rasta e larghi pantaloni a disegni d’elefanti oggi tanto in voga, che chiedono l’elemosina di fronte alle stazioni della metropolitana di Bangkok ne sono un perfetto esempio. Li chiamano begpacker, contrazione di “begging” e “backpacking”, chiedere l’elemosina e viaggiare zaino in spalla. Credono o fanno finta di credere che la povertà sia davvero un ponte sull’abisso che separa la loro fantasia della povertà dalla povertà reale di chi magari vive in uno slum della citta degli Dei. Né comprendono che la loro falsa povertà non è considerata dai passanti come una prova d’ascetismo, di rinuncia. Nella migliore delle ipotesi sono considerati dei reietti, perché un occidentale, per definizione, non può essere povero. Non secondo i canoni di un orientale. E difatti non lo è. Tanto più considerando che l’elemosina non è richiesta per mangiare bensì per acquistare un biglietto di ritorno a casa o per continuare il viaggio. In altri casi quell’atteggiamento è considerato offensivo nei confronti dei locali, di quelli davvero poveri. Se poi quell’occidentale è davvero povero, beh, allora questa è la manifestazione di un karma orribile.
Altra categoria destinata a vedere infrangere le proprie illusioni è quella dei cosiddetti fighters. Dal fisico scolpito, i muscoli che animano tatuaggi di tigri e dragoni, sono qui per allenarsi nella Muay Thai, inseguono il sogno di trasformarsi in guerrieri, diventare campioni nei circuiti di Mixed Martial Arts. Per molti di loro il sogno si infrange subito, sgomentati dalla sorpresa quando vengono messi al tappeto da un thai molto più basso, magari con un po’ di pancetta, che ride allegramente al rumore della loro caduta. A sconfiggerli non è stato quel piccolo thai, è stata la loro arroganza, l’incapacità di sopportare il dolore, la sofferenza. Lo spirito stesso con cui affrontano un combattimento: anche quando si allenano non lo vivono con divertimento, sanuk, sono sopraffatti dallo spirito di competizione. Forse è per questo che fanno tanto rumore quando sono atterrati, perché sono grossi e perché con loro cade un grosso pezzo dell’Occidente.
Papa
De rerum natura Iuxta Propria Principia
Ogni cultura persegue i propri principi di giustizia secondo la propria natura… ma Bernardino Telesio non scriveva immerso in un mondo condizionato da decenni di globalizzazione pervasivi e con la produzione culturale regolata solo dalla moda mondiale: giungendo alla fine della fine del pensiero speculativo non resta che l’indistinto insito nel mondo a cui si ambisce di appartenere come maschere ridicole dello stereotipo.
Quando Simmel scriveva il suo saggio sul sistema della Moda durante il primo declino dell’impero moderno, con la Finis Austriae l’innamoramento per la supposta cultura orientale produsse un ibrido accattivante che non creò un ponte, significò solo il riflesso di stereotipi che l’occidente immaginava di proporre come “Orientalismo”, trasponendoli; ma non ne coglieva l’anima.
Le rivisitazioni meno snaturanti non scimmiottano le espressioni più esotiche di una cultura aliena; sono piuttosto frutto di meticciato, che ha bisogno di lunghi periodi di condizionamento reciproco a originare una crescita educata su principi comuni. Infatti nella commistione non ha diritto di cittadinanza la hybris che smarrisce gli smargiassi tatuati che si approcciano alla Muay Thai senza condividerne l’anima.
L’adesione all’esotico per Wenders trova in Perfect Day la sua misura calibrata nella esibizione di una quotidianità di un alter ego nipponico che ha recuperato un proprio preciso profilo autoctono di riferimento in un quartiere della Tokyo popolare dove abitare una casa di legno a un piano, con i soji, dormendo sul tatami e arrotolando meticolosamente il futon al risveglio, mangiando nei dì di festa in una piccola locanda famigliare… ma nei feriali in uno street food di un centro commerciale di stampo americano. E infatti ascolta su vecchie cassette solo musica americana degli anni Settanta (da cui il titolo ispirato da Lou Reed), prende sonno leggendo Faulkner e Patricia Highsmith (da cui il regista aveva tratto L’amico americano) e lavora con il fondale dei grattacieli, piovuti con la sconfitta dell’impero di Hirohito e la sudditanza nipponica allo stereotipo culturale dell’Occidente vincitore. L’olocausto nucleare estinse la società zen descritta da Ozu e le sue ombre sono impercettibilmente disperse dalla scheggia di un riflesso, il komorebi, unico possibile tra i giochi di luce delle innumerevoli foglie che filtrando lo splendore del sole non scardinano ma “orientano” la percezione del protagonista nippo-americano in direzione di un compiacimento contenuto, ottenuto dalla semplice raccolta di quel luccichio casuale e rappacificante.
el Gaviero
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