La nascita della Favela a Rio de Janeiro
Favela: una parola brasiliana che oramai è entrata nel nostro lessico e nell’immaginario collettivo. Sei lettere che descrivono un luogo che abita una dimensione marginale, periferica e volontariamente dimenticata dallo stato. Favelado/a colui o colei che è costretto a una (non) vita nella favela.
Pochi sanno che favela è il nome dato in Brasile a una pianta endemica del Brasile (cnidoscolus quercifolius) e che la diffusione di questo termine in ambito urbano si relaziona con la Guerra de Canudos (1896-1897) che ebbe luogo nel sertão di Bahia. La città di Canudos, scenario dello scontro politico-religioso, raccontato da Eculides da Cunha nel libro Os Sertões, si trovava in mezzo ad alcune colline. Tra queste vi era il Morro da Favela (Collina della Favela), così battezzato perché ricoperto dall’omonima pianta.
Dopo la guerra, una parte dei soldati reduci dal conflitto, fecero ritorno a Rio de Janeiro ma trovatisi senza stipendio decisero di stabilirsi dentro alloggi precari da loro costruiti nel Morro da Providência (Collina della Provvidenza). Data una certa similitudine tra lo scenario di questa nuova sistemazione e la Collina della Favela vista a Canudos, i soldati battezzarono il nuovo insediamento come Morro da Favela. È da quel momento che gli agglomerati di alloggi e case di fortuna, dove risiedono persone con un basso (o quasi nullo) potere d’acquisto, passarono a essere chiamati Favelas.
Questi agglomerati però già esistevano ed erano cominciati a sorgere, sempre più numerosi dopo la Lei Áurea, ufficialmente Legge n. 3353 del 13 maggio 1888: la legge che estinse la schiavitù in Brasile. In quegli anni, molte persone sollevate dal peso della schiavitù ma non da quello della miseria, lasciarono le piantagioni cercando fortuna a Rio de Janeiro ma, non potendosi permettere un alloggio urbano, vennero allontanati dal centro della città e costretti a vivere nei sobborghi più lontani: zone che a volte prendevano il nome di bairros africanos (quartieri africani). Legalmente però è solo nel 1937 con la promulgazione del Código de Obras (Codice dell’Edilizia) quando per la prima volta lo stato brasiliano riconosce l’esistenza di questi agglomerati e decide di regolamentare al riguardo.
In questo senso, Licia Valladares ci spiega che:
«Sia la scoperta della favela così come la sua trasformazione in problema, risalgono all’inizio del secolo. Agli scritti dei giornalisti si unisce la voce di medici e ingegneri, preoccupati per il futuro della città e della sua popolazione. Sorge così un dibattito su cosa fare con la favela, e già negli anni Venti si assiste alla prima grande campagna contro questa “lebbra dell’estetica”. Nel 1930 il piano urbanistico del francese Alfred Agache, rivolto alla rimodellazione e imbellimento di Rio de Janeiro, denuncia il pericolo rappresentato dalla permanenza della favela. Nel 1937 il Codice dell’Edilizia vieta la creazione di nuove favelas, ma per la prima volta riconosce la loro esistenza, preparando un piano per gestire quelle già esistenti e controllarne la loro crescita» (Licia Valladares, A gênese da favela carioca: a produção anterior às ciências sociais, “Revista Brasileira de Ciências Sociais”, São Paulo, v. 15, n. 44, p. 5-34, out. 2000, grifos da autora, p.12).
Sempre Valladares racconta che nonostante il riconoscimento dell’esistenza della favela e delle pessime condizioni di vita dei suoi abitanti, ben poco venne fatto al riguardo. In generale la favela venne vista e percepita come un problema e come tale venne gestita, partendo appunto dalla svolta amministrativa del 1937. Il primo grande cambiamento avvenne solo nel 1942, quando l’allora sindaco Henrique Dodsworth lanciò il suo Programa de Parques Proletários (Programma dei parchi proletari).
Per scoprire il concetto e l’implementazione del Programma di Dodsworth (con elementi che rimandano al piano urbanistico di Agache), possiamo rifarci a quanto scritto da Rute Imanishi Rodrigues.
«Il programma dei Parchi Proletari Provvisori, elaborato all’inizio degli anni Quaranta, è stato presentato come lo schema di un piano d’azione del governo per le favelas di Rio de Janeiro. Il programma proponeva il trasferimento dei residenti della favela in alloggi temporanei nelle aree circostanti, mentre sarebbero stati costruiti alloggi permanenti, preferibilmente nelle periferie della città, utilizzando terreni demaniali. Il programma aveva anche una forte componente di controllo sociale, analizzata da alcuni autori nel contesto populista e autoritario dell’Estado Novo […]. Secondo Parisse […], per tutti gli anni Quaranta e Cinquanta, tutte le amministrazioni locali suggerirono proposte già delineate nel Programma dei Parchi Proletari provvisori per affrontare il “problema delle favelas”» (Rute Imanishi Rodrigues, Os Parques Proletários e os subúrbios do Rio de Janeiro: aspectos da política governamental para as favelas entre as décadas de 1930 e 1960. Brasília; Rio de Janeiro: IPEA, 2016, grifo da autora, pp.8-9).
Sempre Imanishi Rodrigues specifica che con quest’azione il governo locale, mirava a rimuovere le favelas da terreni “di alto valore”, o aree che sarebbero state oggetto di riforme urbane (come per esempio lavori stradali), riallocando le persone su terreni demaniali dove sarebbero stati costruiti alloggi provvisori. Seguendo questo schema, i primi insediamenti creati sotto il nome di Parchi Proletari Provvisori risalgono all’inizio degli anni Quaranta nelle località di Gávea, Leblon (Praia do Pinto) e Caju. Il “provvisorio” però è scomparso con gli anni e queste nuove “riallocazioni” sono diventate permanenti.
«Nel 1941, l’allora sindaco Henrique Dodsworth ufficializzò il piano d’azione per le favelas creando una Commissione Favelas, che avrebbe avviato la costruzione di Parchi Proletari Provvisori. La prima azione del programma fu la rimozione di alcune favelas sulle rive della Lagoa Rodrigo de Freitas, dove, secondo Moura […], “la proliferazione di tuguri è sempre più accentuata, creando un contrasto scioccante con i quartieri più nuovi ed eleganti della citta”. Il sindaco della città ha anche partecipato all’inizio della distruzione della favela di Largo da Memória e i suoi residenti sono stati trasferiti al Parco Proletario Provvisorio numero 1» (Imanishi Rodrigues, 2017, p.18).
E ancora:
«Oltre al Parco Proletario Provvisorio numero 1, a Gávea, la città costruì altri due parchi: il Parco numero 2, a Caju, e il Parco numero 3, a Leblon (vicino alla favela Praia do Pinto), tra il 1941 e il 1943…» (Imanishi Rodrigues, 2017, pag.18).
Proprio in quegli anni però la spinta all’industrializzazione data dalla dittatura (1937-1946: la Terza Repubblica fu detta Estado Novo) del nazionalista anticomunista Getúlio Vargas trascinò centinaia di migliaia di migranti nell’ex Distretto Federale all’interno del disegno del Estado Novo, creando un’esplosione delle baraccopoli, il cui nome instituzionale era ormai diventato favelas. L’espansione delle favelas continuò anche negli anni Cinquanta, quando si registrarono flussi migratori massivi dalle campagne alle città in tutto il Brasile da parte di coloro che speravano di sfruttare le opportunità economiche fornite dalla vita urbana. A Rio de Janeiro, allora ancora capitale del Brasile, questa espansione portò a una crescita esponenziale delle favelas, in quantità e dimensione, e presto le baraccopoli si espansero oltre l’area urbana della città fino nella periferia metropolitana. Nonostante la loro vicinanza alla città di Rio de Janeiro, la città non estese servizi igienici, elettricità o altri servizi alle favelas e presto questi luoghi divennero dei “non luoghi” dimenticati dallo stato.