Del Sesso e di altri Spiriti
Il sesso. Se vivi in Thailandia devi essere preparato. Prima o poi, più prima che poi, in modo più o meno sottinteso, malizioso, ammiccante, interessato, curioso, scandalizzato, ti chiederanno informazioni sul tema, accademiche o pratiche. Tanto più se il sesso è quello dei kathoey, i travestiti o transessuali (definiti anche Lady-boy) che in Thailandia rappresentano davvero un terzo genere, integrati (anche se spesso in modo caricaturale) in tutti gli strati sociali. Il Gabbiere, glielo riconosco, non ha mai sollevato l’argomento e prima o poi dovremo dialogare sul perché non l’abbia fatto. Ma anche lui ha manifestato una certa curiosità quando gli ho detto che sarei andato a vedere uno spettacolo di kathoey. «È il nostro prossimo dialogo», ha detto subito. Dal canto mio questo era un altro buon motivo per andare al Golden Dome, il teatro simile a un castello delle fate, dove viene messo in scena lo show. Non c’ero mai stato e forse anche questa lacuna meriterebbe un approfondimento.
Lo show, in realtà, mi ha abbastanza deluso. Piume di struzzo, costumi luccicanti, luci colorate. Ma in tono piuttosto dimesso. Alla fine mi è sembrato uno spettacolo per famiglie, qualcosa più simile ai varietà televisivi anni Sessanta che agli spettacoli en travesti allestiti nel quartiere parigino di Pigalle (sempre in quegli anni, in realtà). Più interessante il pubblico: per la maggior parte comitive di turisti cinesi, che sembravano apprezzare soprattutto le scenette comiche recitate in mandarino. C’era anche una famiglia musulmana che se n’è andata prima della fine e un gruppetto di occidentali imbarazzati al passaggio dei Lady-boy che invitavano a toccare tette e culi: i momenti di massima trasgressione dello spettacolo.
Intanto, io pensavo a come tutto questo potesse diventare oggetto di un dialogo col Gabbiere. Certo, poteva essere il pretesto per considerazioni sul concetto di sesso in Oriente e Occidente, sul paradosso dell’estremo pudore in un paese dove il sesso non è peccato, sulla trasgressione e sull’accettazione, su morale e moralità (tema che stavo ritrovando in un saggio di René Guenon: Oriente e Occidente). Ma nulla di tutto questo mi convinceva. Una vaga ispirazione m’era venuta sulla via del ritorno: la grande strada che porta al Golden Dome, nel quartiere di Huai Khwang, infatti è delimitata da una quinta di imponenti edifici che sembrano alberghi di lusso e che sono invece i più grandi bordelli di Bangkok. Eufemisticamente definiti centri di entertainment. Uno di questi, nei giorni successivi, è stato chiuso dalla polizia per il sospetto che sia uno dei centri di riciclaggio di denaro sporco delle Triadi cinesi.
Nello stesso quartiere si trova anche un tempio dedicato a Rahu, entità fantasmatica che nella tradizione delle scritture vediche rappresenta l’ombra, l’eclissi ma che può essere assunto a divoratore di incubi. I fedeli ne chiedono la protezione offrendogli fiori neri. Personalmente mi son fatto tatuare l’immagine di Rahu sulla schiena e colleziono sue immagini. Forse è un vezzo, forse lo considero un medium per le mie storie.
Mettendo assieme tutti questi elementi, mi dicevo, potevo cominciare un buon incrocio di storie. In fondo, i dialoghi della Muay Thai sono proprio questo. Poi una volta tornato a casa, mettendo ordine tra idee e appunti ho trovato la storia che, secondo me, mette a segno il colpo.
Mi sono ricordato della passione del Gabbiere per quello che lui chiama il Leucò langarolo. Nel suo esoterico linguaggio si riferisce a Cesare Pavese, ma nella versione dei Dialoghi con Leucò, come descritto da lui stesso, quello che
«Ha smesso per un momento di credere che il suo totem e tabù, i suoi selvaggi, gli spiriti della vegetazione, l’assassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po’ straccamente e ci sbadigliano un sorriso».
Sono andato allora a guardare se in quei dialoghi ci fosse qualcosa che servisse ad accompagnare una storia di sesso e altri spiriti.
Ecco cos’ho trovato:
Leucotea: Non sanno sorridere.
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Circe: Sì. Qualcuno di loro sa ridere davanti al destino, sa ridere dopo, ma durante bisogna che faccia sul serio o che muoia. Non sanno scherzare sulle cose divine, non sanno sentirsi recitare come noi. La loro vita è così breve che non possono accettare di far cose già fatte o sapute. Anche lui, l’Odisseo, il coraggioso, se gli dicevo una parola in questo senso, smetteva di capirmi e pensava a Penelope.
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Leucotea: Che noia
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Papa
Della tragica comicità del colonialismo erotico
La sessualità scontatamente “esotica” del topos Bangkok mi solletica una pruderie quasi nulla, ma non tanto per remore seriose – e un po’ retrò – surdeterminate dalla istintiva avversione per certo orientalismo da turisti sessuali (intrisi di miti occidentali su un Oriente inventato). Nulla di così noioso… è più la ritrosia a inseguire il colonialismo anche sul piano dell’approccio sessuale, perché lo spettacolo immagino serva soprattutto all’estraneo al mondo siamese per dare un senso alla naturalezza dei “facili” costumi thailandesi, riconducendolo allo spettacolo inquadrabile in una prassi occidentale di normalizzazione agevolata dalla triste caricaturalità dei kathoey con le paillettes a stemperare la spudoratezza che già in Circe spaventava il langarolo nei suoi Dialoghi con Leucò.
In realtà la scarsa pruderie per le “trasgressioni sessuali thailandesi” affonda in ricordi di famiglia, legati a un cugino gay di mia madre, classe 1931, che nel grigio Fiatnam tra gli anni Cinquanta e Settanta faceva “per hobby” spettacoli en travesti, in cui anche un ragazzino cisgender qual ero non percepì mai alcunché di scandaloso, pur non trovandolo per nulla normalizzato nei suoi intonati gorgheggi da melomane amante della Callas, magari interpretando “Un bel dì vedremo” in kimono. Ecco, da questo ricordo affiora la figura di Cio-Cio san: un riflesso del gusto della sensualità esotica tipicamente coloniale che si costruisce – a partire onanisticamente dalla propria immaginazione – persino una femminilità descritta come asiatica e poi frutto della cultura Art Nouveau, intrisa di “Orientalismo”, che attraverso il motteggio della parodia en travesti sposta il centro dell’attenzione dalla tragicità dell’inganno di Pinkerton alla rappresentazione di una sensualità orientale, frutto dell’attribuzione occidentale, che nella parodia del cugino diventa, seppur diversamente orientata, in qualche modo colonizzata. Lasciando però un buco della serratura attraverso il quale gettare lo sguardo sul fuori-scena, oltre la normalizzazione.
Nella esibizione Trans della tradizione occidentale forse si coglie la differenza culturale della sessualità mitologica trasposta anche nei Dialoghi con Leucò quando si raccoglie lo sguardo spaventato e voglioso del sesso della “belva viva” di Endimione rispetto al rassicurante simulacro inscenato dal Lady-boy orientalista; con cui il cugino Queen aveva comunque in comune una prorompente vis comica che scaturiva da scenette quotidiane che riusciva a rendere esilaranti con due tocchi di battute, da cui la sua natura birichina da Pierino (di nome e di fatto) non poteva astenersi.
E proprio lì trovo che la normalizzazione passi con la complicità della battuta scollacciata che stempera la provocazione dirompente della trasgressione sessuale, creando un ponte (improvvisando una “traduzione”?) per i turisti che cercano una “facile” scorciatoia per comprendere la sbandierata assenza di scandalo sessuale nella cultura siamese; come il motteggio tragico la disinnescava nella esibizione di Pierino 60 anni fa nei cabaret della Torino brumosa che contemporaneamente sugli schermi rigorosamente eterosessuali della Rai di Bernabei si eccitava per l’africanità di Lola Falana – altra forma più esplicitamente coloniale dell’esotismo, in quanto africana: e infatti le coreografie si ispiravano a un approccio proprietario della preda selvaggia. Quella comicità irresistibile dà una regola alla trasgressione: diventa dovunque il tratto autocensorio che crea il recinto adattato a ogni situazione in cui la cultura locale può integrarla, avendola collocata in uno spettacolo (il “castello delle fate”) lontano dalla mimesi, stemperata nella comicità e nel vezzo ammiccante.
Ma forse altri Dialoghi più anticamente autentici delle parodie pavesiane meglio si prestano a superare l’impasse culturale al cospetto della “traNsgressione”: il Quinto dialogo delle cortigiane di Luciano di Samosata, quello tra Clonario e Leena, che svela alla collega la propria esperienza lesbica e il suo incontro con Megilla, una trans che la seduce e a cui Leena si concede con naturalezza anche in chiave saffica.
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Odo una novità sul conto tuo, o Leena, che Megilla, quella ricca di Lesbo, è innamorata di te come un uomo, e che state insieme, e non so che fate tra voi. Dunque, o Lena, contami tutto, come prima ti tentò, come ti persuase, e in seguito ogni cosa.
Mi cominciò a baciare come fanno gli uomini, non solo attaccando le labbra, ma aprendo un poco la bocca, e mi abbracciava, e mi titillava i capezzoli. Indi a poco Megilla essendosi riscaldata, si toglie del capo una parrucca ed era capelli naturali, e resta con la testa rasa come una mano, come l’hanno i più robusti atleti. Io mi spiritai a vederla, ed ella: “Hai veduto mai, o Lena, un così bel giovanotto?” – “Io non vedo, dissi, qui giovanotto, o Megilla”. – Ed essa: “Non mi fare femmina, ché io mi chiamo Megillo. Io son nata come tutte voi, ma l’inclinazione, il desiderio, e tutto il resto in me è d’uomo”. – Ed io: “E ti basta il desiderio?” Risposemi: “Statti, o Lenea, se non credi, e saprai che non sono da meno degli uomini: ho un altro strumento che fa lo stesso giuoco: statti, che vedrai”. – Mi stetti, o Clonario, per tante preghiere che mi fece, e mi regalò una bella collana, e un paio di camice fine. Io l’abbracciai come fosse un uomo, ed ella mi baciava, e faceva, e anelava, e mi pareva si struggesse del piacere.
Il testo di Luciano, come sempre i suoi dialoghi scanzonati e cinici, elimina il pathos e non svela l’ob-scene che rimane fuori dalla fotografia: la narrazione lascia intendere che l’approccio al sesso, allora come adesso, è più pragmatico e universale… il resto è per blandire i turisti.
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Ma cosa faceva, Leena, e in che modo? È questo che voglio sapere!
Non chiedermi i dettagli, sono davvero indicibili. Al punto che – per Afrodite Urania! – mi sa che non te li racconto!
el Gaviero
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