500 anni di rotte commerciali e rivolte afrodiscendenti
Colón e la popolazione afropanamense
Quanto succede nella provincia di Colón non può però essere compreso se non si fa un passo indietro nella storia di Panama e non si conosce la situazione della popolazione afrodiscendente del paese centroamericano, popolazione fortemente concentrata in questa provincia caraibica.
El Cimarronaje
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Estratto da America latina afrodiscendente, di Diego Battistessa (Arcoiris, Salerno 2021)
Le ribellioni dell’istmo di Panama
Nella Panama della colonia spagnola il fenomeno del cimarronaje (epiteto peggiorativo con il quale venivano chiamate le persone schiavizzate che fuggivano) iniziò fin dai primi decenni del Cinquecento, proprio con l’arrivo dei primi “carichi” di forza lavoro schiavizzata dall’Africa. Gli schiavi vennero portati nella zona per svolgere diversi lavori: uno dei principali era la pesca delle perle. Un’attività che, al pari della vita delle miniere d’oro e d’argento, non solo era molto dura ma anche molto pericolosa: decine infatti furono gli africani morti per annegamento, per embolie polmonari o vittime di attacchi di verdesca. A fronte di questa situazione iniziarono le fughe verso l’interno e verso la giungla del Darién. I cimarrones però non si nascondevano dagli spagnoli, li affrontavano in campo aperto e attaccavano le carovane che percorrevano la rotta commerciale dell’istmo che collegava i due oceani. Verso la fine del decennio del 1540, si cominciano ad avere notizie di uno schiavo liberto chiamato Felipillo, leader fuggito dalle zone perlacee e capace di organizzare i cimarrones in un palenque (comunità autonoma di liberti) sulle rive del Golfo di San Miguel, nel Darién. Felipillo e i suoi portavano avanti una guerra di guerrilla nella giungla panamense, realizzando attacchi sul cammino reale e derubando i viaggiatori di armi e rifornimenti: di notte poi razziavano gli insediamenti spagnoli per liberare altri africani schiavizzati.
La difesa spagnola delle rotte di merci atlantiche
Per gli spagnoli la situazione era insostenibile. Avevano da pochi anni iniziato le operazioni commerciali nell’istmo e non potevano permettere a degli schiavi di mettere a rischio quella rotta mercantile. L’impatto delle azioni di Felipillo aveva causato non poche proteste alle autorità spagnole da parte dei coloni, che argomentavano di non poter/voler pagare le tasse e di non avere sufficiente forza lavoro. Il compito di eliminare la minaccia dei cimarrones ricadde sul Capitano Francisco Carreño che iniziò una guerra senza quartiere, infliggendo gravi e inumani castighi a coloro che venivano catturati. Le truppe di Carreño, dopo diverse scaramucce, scoprirono nel 1549 l’ubicazione esatta del palenque di Felipillo, che fu attaccato in forze e ridotto in cenere. Dopo aver ucciso il leader africano gli spagnoli probabilmente pensarono di aver eliminato il problema delle ribellioni nella zona, ma non avevano fatto i conti con l’esigenza biologica di libertà di coloro che erano stati schiavizzati. Poco dopo, altre ribellioni esplosero a Panama, guidate da capi come Antón Mandinga e il Negro Mozambique (che non ebbero molta fortuna) e soprattutto da Bayano, erede dello spirito di Felipillo.
Le origini di Bayano non sono chiare. Si dice che fosse stato catturato nell’attuale Sierra Leone, che fosse un famoso guerriero e che appartenesse alla tribù Mandinga. Un’altra ipotesi lo colloca come membro del popolo Yoruba, al quale appartenevano la maggior parte degli schiavi portati nelle Americhe: ipotesi che spiegherebbe anche il suo nome, derivante probabilmente dalla parola bayanni che in lingua yoruba identifica un idolo o un oggetto venerato dai fedeli del dio del tuono. Anche sull’inizio della sua ribellione le versioni sono discordanti. Alcuni parlano di una ribellione iniziata quando ancora Bayano si trovava sulla barca negriera che lo stava portando a Panama, altri di una fuga e un’insurrezione iniziata poco dopo essere arrivato nel Darién. Quel che è certo è che Bayano, negli anni in cui Felipillo soccombeva alle truppe di Carreño, riuscì a riorganizzare i cimarrones scappati nella selva e a costituire un nuovo, grande palenque conosciuto come Ronconcholon, vicino al fiume Chepo (conosciuto anche come fiume Bayano). Il condottiero africano contava su una forza che gli storici fanno oscillare tra i 400 e i 1200 uomini. Il Palenque di Ronconcholon era dunque una città in piena regola, che poteva disporre di un esercito che rappresentava una grande minaccia per la forza di occupazione spagnola. Per anni le truppe di Bayano portarono avanti una guerriglia che mise in ginocchio il commercio della corona spagnola. Per affrontare il pericolo rappresentato dall’insurrezione dei cimarrones arrivò a Panama anche il marchese de Cañate, viceré del Perù, che incaricò il capitano Gil Sánchez di dirigersi nella regione di Chepo e sconfiggere le truppe di Bayano. Sánchez e il suo contingente però vennero sconfitti. Una successiva spedizione guidata questa volta dal capitano che uccise anni prima Felipillo, Francisco Carreño, ebbe successo e Bayano venne catturato e portato nella località di Nombre de Dios nell’attuale provincia di Colón. Qui il Presidente della Real Audiencia de Panamá, Álvaro De Sosa, offrì ai cimarrones la possibilità di stabilire un accordo per uscire dall’illegalità e convivere con le autorità spagnole. Dopo aver accettato l’accordo ed essere dunque tornato in libertà, Bayano ricominciò tuttavia le razzie e gli attacchi sulle rotte commerciali: di nuovo catturato, questa volta da un contingente di 200 uomini guidato da Pedro de Ursúa venne inviato successivamente in Perù per essere giudicato. Nel cuore dell’impero spagnolo in Sudamerica, il cimarrón ribelle venne processato e successivamente portato in Spagna, dove morì.
La storia delle ribellioni di persone schiavizzate a Panamà e la loro presenza sul territorio sono vincolate in modo profondo e simbolico all’identità di tutta la regione. Va sottolineato infatti che i principali insediamenti di gruppi di afrodiscendenti si trovavano in quella che veniva chiamata “Costa Arriba” nell’attuale provincia di Colón (ci furono altri palenque Costa Abajo de Colón, a ovest dell’attuale canale, ma ebbero meno rilevanza). Proprio in quella zona arrivò Cristoforo Colombo durante il suo quarto viaggio, in quelle che ancora non si chiamavano Americhe, nel 1502. La città di Nombre de Dios (dove fu portato Bayano) venne fondata nel 1510 da Diego de Nicuesa ed è uno dei primi insediamenti europei in America: è considerato il più antico insediamento ancora abitato, fondato nell’America continentale dagli europei. La cittadina di Nombre de Dios ebbe fortune alterne: abbandonata e ripopolata nel 1519, saccheggiata e incendiata dai pirati nel 1572 e nel 1596. Dopo l’incendio del 1596 innescato dal corsaro inglese Francis Drake, la popolazione venne spostata nella zona più salubre e fortificabile di Portobelo: altro luogo nel quale si concentra la storia e la trazione afrodiscendente.
Comunità africane sovrapposte a snodi commerciali
In tutta la provincia di Colón troviamo comunità afropanamensi (da notare per esempio anche l’insediamento chiamato Palenque, che nacque come un vero e proprio villaggio di cimarrones e che ha mantenuto il nome fino ai nostri giorni) ma senza ombra di dubbio Portobelo rappresenta il centro identitario più forte. Portobelo non era all’epoca un luogo di permanenza della popolazione afrodiscendente, ma era sicuramente uno dei nodi commerciali di transito più importanti. Con il tempo però si formarono delle comunità africane stabili che si organizzarono nei quartieri di Guinea e Malambo, veri e propri conglomerati di tradizione africana e sincretica. Come eredità di questo processo storico sincretico troviamo la cultura “congo”, concentrata nella Costa Arriba e Costa Abajo della provincia di Colón. Si tratta di un articolato sistema di lingua, musica e danza afrocoloniale. Questa pratica è caratterizzata da un’espressione violenta ed erotica durante la danza, associata a una rappresentazione teatrale, il cui tema riporta a episodi storici della tratta degli schiavi, della schiavitù e delle conseguenti ribellioni nere durante i tempi del colonialismo. Tamburi, danza a piedi nudi, momenti di trance e un linguaggio che mischia lingue coloniali pronunciate al contrario e lingue di origine africana. Un’eredità dei primi schiavi africani che dentro i palenque svilupparono una pratica culturale riconosciuta oggi dall’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità.
Passaggio strategico
Il polo atlantico: Colón
A oggi dunque la provincia di Colón, è caratterizzata per essere la zona di Panama con la più alta concentrazione di popolazione afrodiscendente, popolazione che storicamente vive gli strascichi lasciati da un razzismo strutturale che durante 4 secoli si è manifestato nella regione con la schiavitù e successivamente con una marginalizzazione e mancanza di accesso ai diritti umani fondamentali e alle condizioni di base per lo sviluppo di una piena forma di cittadinanza. La città di Colón, capoluogo dell’omonima provincia ha una popolazione di poco meno di 100.000 persone e dista solo 80 chilometri dalla Capitale, collegata alla stessa dall’Autostrada Transístmica (Panamá-Colón), che unisce le due coste oceaniche (Atlantico e Pacifico) del paese centroamericano. Colón è anche la seconda città più popolosa dei Caraibi centroamericani e qui si trova uno dei porti più grandi di tutta l’America Latina. Dato che contrasta non poco per la situazione di depressione economica e mancanza di servizi e infrastrutture urbane (in comparazione con la Capitale) nella quale versa la città e per estensione tutta la provincia. Colón è infatti un enorme hub commerciale, essendo la zona caraibica di entrata del Canale di Panama, ragione per la quale nell’area è stata istituita quella che si chiama Zona di Libero Commercio di Colón, interconnessa con il Sistema Integrato di Gestione Doganale di Panama, per facilitare e accelerare le procedure del commercio estero.
La vocazione infrastrutturale tra ferrovia e canale interoceanici
Ma le modalità e la nascita della stessa città di Colón, quando l’istmo di Panama faceva ancora parte del territorio nazionale colombiano, ci fanno capire come la zona sia da sempre solo stata vista come un luogo da sfruttare per i capitali nazionali e stranieri. Dobbiamo infatti tornare indietro fino al 1850, quando si decise finalmente di dare vita a un progetto che fu a suo tempo dello stesso Simón Bolivar, ovvero il collegamento attraverso una rotta ferroviaria dei due oceani (il canale di Panama sarebbe stato inaugurato solo 64 anni dopo). Il progetto interessava molto agli Stati Unit d’America e fu proprio lo statunitense William Henry Aspinwall (16 dicembre 1807 – 18 gennaio 1875), socio della società mercantile Howland & Aspinwall e cofondatore sia della Pacific Mail Steamship Company che del Panama Canal Railway a rendersi protagonista di questo progetto ingegneristico. Proprio la Panama Railroad Company aveva bisogno di un terminal sull’Atlantico per costruire la prima ferrovia interoceanica e per fare ciò si decise di costruire l’infrastruttura necessaria sull’isola di Manzanillo (poco più di 250 ettari), sul lato orientale della baia di Limón. I lavori iniziarono nella primavera del 1850 e la manodopera arrivò dalle Antille (con un gran numero di Giamaicani), dalla Spagna e anche dall’Italia: uomini falcidiati da malaria e dissenteria che morirono a decine per realizzare questo progetto. Una volta terminato il terminal Atlantico della ferrovia, alla zona venne data una parvenza (tra degrado e abbandono) di piccolo centro urbano e gli investitori statunitensi proposero di chiamare la “nuova città” Aspinwall, in onore di uno dei grandi capitalisti che finanziavano le operazioni di Panama Canal Railway (William Henry Aspinwall). Lo stato colombiano istituito in quegli anni però non accettò la proposta e battezzò ufficialmente il 27 febbraio 1852 la città con il nome di Colón. Gli statunitensi rifiutarono la decisione e continuarono a chiamare la città (che si trovava in territorio colombiano!) con il nome di Aspinwall. La disputa durò fino al 1890 quando una ferma azione del governo di Bogotá, che eliminò la possibilità di utilizzare l’indirizzo postale di Aspinwall, obbligò gli statunitensi a cedere e accettare il nome di Colón. La città sorta da una stazione ferroviaria non venne però risparmiata dalle vicende belliche che scossero la Colombia nel 1885 e anche dopo l’indipendenza di Panama (nel 1903) fu devastata da un incendio che la distrusse completamente nel 1915 (un anno dopo l’inaugurazione del Canale). Proprio la costruzione del Canale di Panama e la sua messa in funzionamento, portarono nuovo vigore a questo centro urbano che iniziò nella seconda decade del 1900 una costante crescita demografica. A questo si aggiunse nel 1953 la creazione della zona libera per il commercio internazionale di Colón (prima zona franca del mondo moderno) che però non salvò la città da una dura recessione economica iniziata nel 1960 e non ancora terminata.