Tentativo di riscatto
A oggi cosa sta facendo la città di fronte alle evidenze storiche di sfruttamento dello schiavismo su cui si fonda il benessere dell’Impero britannico? Liverpool ha deciso di non “nascondere la testa sotto la sabbia” e in un atto che ha generato non poche polemiche, il consiglio comunale della città ha deciso di non cambiare la toponomastica dei luoghi pubblici, ma di “conservare e spiegare” i nomi delle strade che commemorano le persone coinvolte nella tratta e nello sfruttamento degli schiavi. Invece di rinominare queste strade dunque, il Comune ha deciso di erigere delle targhe accanto ai segnali stradali per fornire informazioni sui vincoli che legano il personaggio in questione con la schiavitù.
La stessa cosa è stata fatta anche nella Walker Art Gallery (una delle collezioni di dipinti più importanti e rinomate del Regno Unito), che oggi espone insieme ai quadri delle personalità di Liverpool, oggetti che prima facevano parte della collezione del museo della schiavitù. In particolare possiamo fare riferimento ad alcune catene da caviglia in ferro battuto, che sono state permanentemente trasferite alla Walker Art Gallery nel tentativo di affrontare ed esibire i legami coloniali tra schiavitù e arte. Catene del tipo utilizzato durante il viaggio sulle navi negriere per trattenere e imprigionare gli africani sottocoperta nella stiva della nave, che sono oggi esposte accanto al quadro della famiglia Sandbach, noti commercianti e proprietari di piantagioni nelle Americhe.
Vediamo dunque come attraverso degli sforzi congiunti si provi ad affrontare in modo diretto questo passato scomodo e pieno di soprusi, sforzi che si centrano anche nel dare spazio alle generazioni di nuovi artisti afrodiscendenti e africani che trattano la tematica della tratta degli schiavi e del loro commercio da diverse latitudini, geografiche ed emotive. Un esempio di questi nuovi progetti dirompenti ospitati dal Museo della Schiavitù è offerto dal dipinto di Shane D’Allessandro dal titolo Contributions (2020): un artista visivo emergente di origini giamaicane e italiane, originario del Suffolk britannico e attualmente residente a Londra.
There Ain’t No Black in the Union Jack, espressione presa dal titolo del libro d Paul Gilroy del 1987 e che denuncia come non ci sia traccia del contributo delle comunità nere all’identità britannica nel simbolo ultimo della patria, la bandiera, chiamata in modo informale “The Union Jack”. Partendo da questa domanda, “Non c’è nero nella Union Jack”? l’autore spiega che «il mio dipinto reinventa la bandiera britannica per racchiudere le comunità nere dei Caraibi che, come molte altre comunità, hanno dato e contribuito così tanto, spesso senza riconoscimento o ringraziamento. Pur non includendo tutte le bandiere dei Caraibi nel mio dipinto, spero che sia comunque in grado di invocare sentimenti di solidarietà per tutti i neri di questo paese, indipendentemente dalla loro provenienza».
Nel dipinto vengono incorporate alla Union Jack le bandiere di Aruba, Bahamas, Barbados, Cuba, Repubblica Domenicana, Grenada, Giamaica, St. Lucia, Saint Kitts e Nevis, St Vincent e Grenadine, Trinidad e Tobago.
☞e questo fa il paio con la memoria del Muncab di Bahia
Dopo questo viaggio toponomastico della città di Liverpool e nel passato coloniale britannico, possiamo comprendere la connessione innegabile che questa città ha con la tratta delle persone africane schiavizzate e con il profitto sul lavoro delle stesse nelle piantagioni del “Nuovo Mondo”. Non solo Beatles e calcio, dunque ma un passato che consegna una pesante eredità con la quale fare i conti. Liverpool ha giocato un ruolo da protagonista nell’espansione del traffico di persone africane schiavizzate (come Bristol, altro porto tristemente famoso per gli stessi motivi), una memoria che non può e non deve essere sepolta. Gli sforzi che vanno in questa direzione oggi sono molti, un impegno verso un’opera di riscrittura della “verità” collettiva che passa verso la messa in discussione della Storia raccontata dai vincitori e per una necessaria riparazione verso la comunità afrodiscendente. La complessità di una città portuale come Liverpool, che ha visto per esempio l’arrivo di milioni di irlandesi tra il Settecento e l’Ottocento (la maggior parte di loro come scalo a New York e Londra, ma molti altri rimasero; ragione per la quale si calcola che due terzi degli scouser abbiano ascendenze irlandesi), che ha sofferto per il naufragio del Titanic (la White Star Line era proprietaria della famosa nave e aveva sede a Liverpool , inoltre molti dei passeggeri erano irlandesi diretti in America), che ha vissuto una forte radicalizzazione politica negli anni Ottanta (basti nominare gli scontri di Toxteth nel 1981) e una forte avversione verso Margareth Thatcher e le sue politiche, non può essere riassunta solo dalla sua partecipazione nel commercio triangolare.
Nonostante ciò, è vitale dare spazio a questo passato, così come sta facendo il Museo della Schiavitù di Liverpool e la University College of London, attraverso il Centre for the Study of the Legacies of British Slavery. Quest’ultimo progetto per esempio (istituito presso l’Ucl con il generoso sostegno dell’Hutchins Center di Harvard), si basa su due progetti precedenti che tracciano l’impatto della proprietà degli schiavi sulla formazione della Gran Bretagna moderna: il ESRC-funded Legacies of British Slave-ownership project (2009-2012), e il ESRC and AHRC-funded Structure and significance of British Caribbean slave-ownership 1763-1833 (2013-2015). Utilizzare questo database è molto facile, basta accedere al sito e usare la barra di ricerca per ottenere informazioni sui vincoli dei singoli individui con la tratta, commercio e sfruttamento delle persone schiavizzate. Vi consigliamo di fare una prova con i nomi delle persone segnalate nella toponomastica che trovate qui. Il lavoro della Ucl ha avuto un impatto così importante nella società inglese al punto da obbligare importanti organizzazioni ed enti britannici alle pubbliche scuse: tra gli altri, la Chiesa anglicana, la Banca d’Inghilterra, la catena di pub Greene King e il mercato assicurativo Lloyds di Londra, che assicurava i viaggi delle navi negriere.